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Lo smart working per migliorare il welfare aziendale

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Lo smart working è una modalità di lavoro che sempre più aziende concedono ai propri dipendenti, per offrire loro la possibilità di migliorare l’equilibrio tra vita lavorativa e vita privata. Cosa che va a vantaggio anche della produttività dell’impresa. Ecco perché lo smart working influisce positivamente sul welfare aziendale.

Anche se in Italia lo smart working viene ancora guardato con diffidenza, sono sempre di più le aziende illuminate che decidono di concedere ai propri dipendenti la possibilità di usufruirne.

Lo smart working, infatti, non solo aiuta i lavoratori a raggiugere il cosiddetto work-life balance, ma ha anche effetti positivi sul welfare aziendale. Vediamo perché.

Cosa significa welfare aziendale?

La parola welfare significa benessere.
E sempre più spesso, questo termine viene associato alla parola “aziendale” per indicare tutte le iniziative che un’azienda mette in campo per migliorare il benessere dei propri dipendenti, ponendoli nelle condizioni di lavorare al massimo delle proprie possibilità.

Insomma, il concetto di welfare aziendale coincide con il concetto di benessere organizzativo. Cioè la capacità di un’azienda di promuovere e mantenere un grado elevato di benessere fisico, psicologico e sociale dei lavoratori.

In questo modo viene data grande rilevanza, all’interno delle politiche aziendali, al benessere dei dipendenti. Ciò significa che le imprese (e sono sempre di più, in Italia, a riconoscere la validità di queste misure) pensano a una serie di benefit e agevolazioni per migliorare la conciliazione vita-lavoro.

Come mai?

Sono numerosi gli studi che confermano che una migliore qualità della vita spinge le persone a lavorare meglio e in maniera più produttiva; e l’esempio delle imprese che hanno già avviato con successo dei progetti di welfare aziendale è la dimostrazione della loro validità.

Tra le misure di welfare aziendale più comuni ci sono benefit come, ad esempio, auto e telefono aziendale, viaggi, formazione, assicurazioni. Anche il miglioramento degli spazi di lavoro rientra tra queste politiche di welfare.

I vantaggi che derivano dall’attuazione o dall’incremento di un piano di welfare aziendale sono:

  • maggiore motivazione dei lavoratori, che si sentiranno così più legati all’azienda e avranno voglia di lavorare meglio;
  • riduzione dell’assenteismo; la concessione della possibilità di lavorare in maniera più flessibile spinge i dipendenti a essere più produttivi;
  • diminuzione del turnover, e quindi dei costi legati all’assunzione di nuovi dipendenti;
  • agevolazioni fiscali.

Lo smart working è un welfare aziendale?

Non esiste una risposta immediata e univoca a questa domanda.

Quella dello smart working è una materia complessa, in special modo in un Paese come l’Italia, che è ancora acerba in questa modalità di lavoro agile.

Anche perché, spesso e volentieri, si fa coincidere il termine smart working con la definizione di lavoro da remoto. Cosa che restringe notevolmente il suo significato e la sua utilità.

Lavorare in smart working, infatti, non significa solo lavorare in telelavoro. Significa, più che altro, non avere vincoli su orari e luogo di lavoro e organizzare i propri compiti per fasi, cicli e obiettivi, concordati con l’azienda, avendo anche una maggiore autonomia di gestione.

È stato dimostrato che avere una maggiore flessibilità di orario e poter lavorare a casa propria o nel luogo che si preferisce ha un effetto positivo sul rendimento del lavoratore e sulla qualità della sua vita.

Date queste premesse, viene da domandarsi, piuttosto, se lo smart working non sia una misura volta a migliorare il welfare aziendale e non solo un benefit da offrire al lavoratore per andare incontro alle sue esigenze di conciliazione tra vita privata e vita lavorativa.

Quello che è sicuro, è che lo smart working influisce positivamente sulla produttività dei lavoratori, che riescono a conciliare meglio i loro orari e i propri impegni. Di ciò, ovviamente beneficia anche l’azienda, che avrà dipendenti più felici di lavorare e vedrà aumentare la qualità del lavoro.

Insomma, lo smart working può essere considerato a tutti gli effetti uno strumento di welfare aziendale a favore sia del dipendente, sia dell’impresa.

Il primo si vedrà offrire un benefit che dimostra la fiducia che l’azienda ripone in lui e quanto il suo benessere stia a cuore all’impresa per cui lavora; l’azienda avrà un dipendente più felice e soddisfatto e vedrà aumentare la propria produttività.

I benefici del lavoro agile

Il lavoro agile, in Italia, è regolato da una normativa specifica, che è la legge n°81 del 2017.

Essa stabilisce che, per poter usufruire di questa modalità di lavoro, il lavoratore deve stipulare un accordo scritto in cui vengono definite le modalità con cui prestare la propria opera al di fuori dei locali aziendali, comprese le ore e i giorni di riposo. Tale accordo deve garantire allo smart worker un trattamento retributivo e normativo non inferiore a quello garantito ai lavoratori che non usufruiscono del lavoro agile.

Tuttavia, alla luce del sempre crescente numero di aziende che decide di offrire ai propri collaboratori la possibilità di lavorare in smart working, della crescente richiesta di questo tipo di trattamento lavorativo da parte dei lavoratori e della complessità di questa modalità di lavoro, questa normativa risulta insufficiente a regolamentarla in maniera corretta.

Lo smart working, infatti, rappresenta un cambiamento notevole sia per il lavoratore, che si trova ad avere una maggiore responsabilità nella gestione del proprio lavoro, sia per l’azienda.

Se messo in atto in maniera corretta e organizzata, il lavoro flessibile favorisce l’incontro tra i bisogni aziendali e quelli personali del lavoratore, e garantisce numerosi benefici al dipendente che ne usufruisce e all’impresa che ha deciso di concederglielo.

I benefici principali che un lavoratore può trarre dallo smart working sono tre:

  1. miglioramento del work-life balance. In una società che ci vuole sempre più produttivi e impegnati, mantenere un soddisfacente bilanciamento tra vita privata e vita lavorativa non è cosa da poco. L’assenza di vincoli e tempi troppo rigidi, la possibilità di lavorare nell’ambiente che risulta più congeniale e la valorizzazione delle proprie capacità, consentono alle persone di essere più rilassate, soddisfatte e produttive;
  2. flessibilità. Per molti lavoratori, in particolare per le lavoratrici donne, conciliare la vita familiare con quella lavorativa, specialmente se ci sono dei figli, risulta molto difficile e stressante. Tuttavia, a dare un grande valore alla flessibilità lavorativa non è solo chi ha delle famiglie e dei bambini da gestire, ma anche i lavoratori più giovani. Grazie allo smart working, che garantisce una maggiore flessibilità di orari, oltre alla possibilità di lavorare a distanza, è possibile riuscire a conciliare meglio le necessità di lavoro e vita privata;
  3. motivazione e soddisfazione personale. Dalla maggiore responsabilizzazione derivante dall’avere più autonomia, si ricavano anche una più grande motivazione nello svolgere bene i propri compiti e una maggiore soddisfazione personale per aver portato a termine gli obiettivi prefissati.

Smart working e produttività

Anche l’azienda che consente ai propri dipendenti di lavorare in maniera agile ottiene diversi vantaggi:

  1. aumento della produttività. Secondo uno studio del politecnico di Milano, le aziende che scelgono di organizzare il lavoro in smart working vedono aumentare la propria produttività del 15%;
  2. diminuzione dei costi. Un lavoro agile ben organizzato, a fronte di un investimento iniziale in tecnologia e attrezzature per lavorare da remoto, consente alle aziende di razionalizzare le proprie risorse e ridurre i costi di gestione;
  3. miglioramento del welfare aziendale. Non solo lo smart working consente di migliorare l’umore dei collaboratori e il loro benessere psico-fisico. Spesso, le politiche di attuazione del lavoro agile comprendono anche un’ottimizzazione degli spazi aziendali che contribuisce a migliorare il welfare aziendale.

Molte imprese, tuttavia, sono ancora caute su questa modalità di lavoro, perché sono ancorate al connubio presenza sul luogo di lavoro/numero di ore lavorate = produttività.

Un pregiudizio difficile da sradicare, soprattutto perché spesso lo smart working viene attuato e gestito in maniera confusa.

Per offrire dei risultati soddisfacenti e rappresentare una vera opportunità di crescita per l’azienda, lo smart working deve essere organizzato in maniera efficiente e razionale.

Perché ciò sia possibile, si deve prima di tutto stilare un piano ben definito che contenga le modalità di attuazione del lavoro agile e gli obiettivi che ogni collaboratore deve raggiungere.

Poi si deve offrire ai propri collaboratori la tecnologia necessaria a lavorare in smart working.

Si devono anche formare i dipendenti perché imparino a gestire con responsabilità i propri progetti, focalizzandosi sugli obiettivi da raggiungere.

Inoltre, è importante implementare la comunicazione tra azienda e collaboratori, perché risulti efficace nel mantenimento dei rapporti e nella gestione del lavoro.

In conclusione, lo smart working, se attuato in maniera razionale, rappresenta una concreta possibilità di crescita per le aziende, perché non solo favorisce il benessere dei collaboratori e l’aumento della loro produttività, ma contribuisce a migliorare notevolmente il welfare aziendale.

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Rinnovo CCNL Metalmeccanico 2020

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La trattativa per il rinnovo del CCNL del 26 novembre 2016 non si è ancora conclusa, ma Federmeccanica – Assistal ha già comunicato che a decorrere dallo scorso primo gennaio il Contratto è entrato in regime di ultrattività (ai sensi dell’articolo 2, Sezione terza).

Entrando in regime di ultrattività, il CCNL continua a produrre gli stessi effetti così come definiti dalle rispettive norme contrattuali, pertanto rimangono in vigore tutti gli istituti disciplinati dal medesimo CCNL (finché non saranno sostituiti dal successivo contratto nazionale):

  • Previdenza complementare
  • Assistenza sanitaria integrativa
  • Formazione continua secondo modalità e criteri ivi stabiliti,
  • Welfare aziendale

Welfare aziendale

E’ stato riconosciuto un valore crescente durante gli anni, passando dai 100€ nel 2017 ai 200€ nel 2019 confermati anche per il 2020. L’offerta di beni e servizi di welfare dovrà essere messa a disposizione dei dipendenti a decorrere dal 1° giugno 2020.

Flexible benefit su misura

Nel rinnovo sono previsti Flexible Benefits che il datore di lavoro riconoscerà annualmente ai dipendenti. Up Day ha a disposizione le soluzioni più adatta alle diverse esigenze, fiscalmente vantaggiose, facile da gestire e personalizzate. In linea con quanto stabilito dal contratto, soddisfano i desideri di tutti: i buoni spesa Cadhoc e la piattaforma Day Welfare.

Buoni spesa Cadhoc

Buono shopping Cdhoc

Buono shopping Cadhoc

I buoni spesa Cadhoc, soluzione ideale perché strumento pratico, immediato e soddisfacente sia per l’azienda che per il dipendente. L’azienda recupera l’importo attraverso la deduzione della fattura e il dipendente gode di un importo netto da poter spendere nelle principali catene GDO, nel negozio preferito o anche nei migliori e-commerce online. Con Cadhoc si va incontro alle esigenze di tutti: a quelle della famiglia numerosa che può spendere il suo buono per la spesa alimentare a quella del lavoratore giovane, il quale può decidere di investire in libri, tecnologia, prodotti sportivi, buoni carburante e altro.

Il Fringe Benefit 100% deducibile fino ad un massimo di 258,23 euro a dipendente all’anno.

La piattaforma Day Welfare

La piattaforma Day Welfare

La piattaforma Day Welfare

Le soluzioni offerte da provider come Up Day sono molteplici: oltre ai voucher, la piattaforma Day Welfare  per gestire beni e servizi alla persona e alla famiglia e migliorare il benessere dei dipendenti.

Pacchetti on line ideali per tutti i dipendenti, facili da selezionare e da spendere in una vasta rete di partner presenti su tutto il territorio nazionale.

Sport,tempo libero, palestre, cinema, shopping e tanto altro.

Grazie alla consulenza degli specialist di Up Day, vengono proposte soluzioni personalizzate per comporre un piano di welfare su misura.

Per maggiori informazioni info@day.it

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Buoni pasto e ferie: si ha diritto a riceverli?

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buoni pasto, ticket

I buoni pasto sono benefit erogati dal datore di lavoro ai dipendenti in sostituzione del servizio mensa. È possibile riceverli anche quando si è in ferie o spettano solo nelle giornate lavorative?

Servizi accessori che le aziende possono erogare ai propri dipendenti, i buoni pasto rappresentano un vero e proprio servizio sostitutivo di mensa aziendale.

Per questo la loro erogazione può subire delle limitazioni nel caso in cui il dipendente non sia presente sul luogo di lavoro. Vediamo se si ha diritto ad ottenere i buoni pasto anche quando si è in ferie e se li si può spendere durante le giornate non lavorative.

Durante le ferie si ha diritto ai buoni pasto?

I buoni pasto sono dei benefit che le imprese erogano di frequente ai propri dipendenti per sopperire alle esigenze di coloro che, a causa del lavoro, si trovano a dover mangiare spesso fuori casa.

Nel momento in cui un lavoratore è in ferie, non ha necessità di consumare i propri pasti fuori casa a causa del lavoro, perciò non ha diritto a ricevere i buoni pasto.

Ma entriamo più nel dettaglio.

Questi buoni sono dei veri e propri mezzi di pagamento che hanno la finalità di sostituire il servizio di mensa aziendale e offrono numerosi vantaggi sia ai lavoratori, sia alle aziende che decidono di servirsene.

Possono essere emessi sia in forma cartacea, sia in forma elettronica e possono venire erogati anche qualora sia presente un servizio di mensa aziendale: sarà poi il lavoratore a scegliere di quale dei due servizi usufruire.

Secondo quanto previsto dal Decreto 122 del 2017, che regolamenta le modalità di erogazione e fruizione dei buoni pasto, hanno diritto a riceverli i lavoratori subordinati e coloro che hanno instaurato un rapporto di collaborazione non subordinato con i propri clienti.

La prestazione di questi benefit rimane comunque subordinata al CCNL di riferimento e al contratto stipulato direttamente con l’azienda.

I buoni pasto possono essere emessi sia in favore dei dipendenti che lavorano a tempo pieno, sia in favore di coloro che svolgono un tempo di lavoro parziale, anche quando l’orario di lavoro non prevede la pausa per consumare il pasto. Possono riceverli anche le risorse che prestano il loro lavoro in trasferta, a meno che non ricevano un’indennità per il vitto o un rimborso spese.

Il lavoratore, quindi, ha diritto a ricevere un buono pasto per ogni giornata lavorativa. I giorni di ferie, non rientrando tra le giornate lavorative, non danno diritto al buono pasto.

Le ferie non sono il solo caso in cui il dipendente di un’azienda non abbia diritto a ricevere il buono pasto. Tra gli altri casi in cui non si ha diritto a ricevere questo tipo di agevolazione ci sono:

  • domeniche non lavorative e giornate festive non lavorate;
  • permessi di lavoro che prevedono l’assenza del dipendente per l’intera giornata;
  • festività;
  • periodi di aspettativa;
  • congedi per maternità facoltativa;
  • congedi per malattia e infortunio;
  • sciopero;
  • permessi per la Legge 104 (se si sceglie di usufruire delle 3 giornate per intero);
  • permessi sindacali.

Chi, invece, prende un permesso di poche ore, e rimane quindi in ufficio per la maggior parte della giornata, ha comunque diritto ad usufruire del buono pasto, anche se non ha necessità di fare la pausa pranzo. Così come ne hanno diritto le lavoratrici in maternità non facoltativa e coloro che hanno un orario di lavoro ridotto per via dei permessi di allattamento.

Alcune imprese, nei casi in cui i propri dipendenti svolgano un orario di lavoro ridotto, prendono la decisione di erogare i buoni pasto riducendone l’importo.

Il datore di lavoro può comunque dare i buoni pasto ai dipendenti in ferie?

Le disposizioni legislative in materia di erogazione dei buoni pasto sembrano lasciare poco spazio ai dubbi, quindi: il lavoratore che sta usufruendo del proprio periodo di ferie non ha diritto a ricevere i buoni pasto.

Anche se la normativa non prevede che si possano ricevere i buoni pasto anche durante i giorni di ferie, questa possibilità non è però espressamente vietata.

Il datore di lavoro, perciò, può comunque decidere di erogarli ai propri dipendenti. Sono le aziende, infatti, a decidere quale trattamento economico offrire ai lavoratori, sempre restando nei limiti della legge.

Uno dei casi in cui i buoni pasto vengono erogati al lavoratore anche durante il periodo delle ferie può essere, ad esempio, quando la contrattazione aziendale preveda che questi ultimi facciano parte del premio di risultato. Molte aziende, infatti, offrono la possibilità di convertire il proprio premio di risultato in denaro o in servizi di welfare aziendale, come sono, appunto, i buoni pasto.

Nel caso in cui vengano erogati anche nei giorni di ferie, durante le festività o in altre giornate non lavorative, decadono le agevolazioni fiscali che prevedono che i buoni pasto non siano assoggettati a tassazione e contribuzione (fino al limite di €5,29 per i buoni cartacei e a €7,00 per i buoni elettronici), pertanto il loro importo andrà a fare cumulo con il reddito imponibile e verrà tassato allo stesso modo dello stipendio.

Nella maggior parte dei casi, comunque, i buoni pasto vengono erogati tenendo conto delle giornate di presenza effettiva che hanno determinato il diritto alla loro fruizione e rimangono perciò esclusi dal reddito da lavoro dipendente e quindi dalla tassazione.

Il dipendente può spendere i buoni pasto mentre è in ferie?

Per rispondere correttamente a questa domanda, bisogna innanzitutto tenere conto della differenza che c’è tra la spettanza dei buoni pasto e le modalità di utilizzo di questi ultimi.

Se, infatti, il lavoratore in ferie non ha diritto al buono pasto giornaliero, ciò non vuol dire che non possa spenderlo durante le vacanze.

Mentre in passato esisteva l’obbligo di spendere il buono pasto nel corso della giornata lavorativa, adesso tale obbligo è decaduto ed è stato sostituito dal limite sul cumulo dei buoni, che lascia al lavoratore un margine più ampio nella gestione di tale strumento di pagamento.

Come indicato nel Decreto 122 del 2017, infatti, è possibile cumulare fino a 8 buoni pasto e spenderli sia singolarmente, sia tutti nello stesso momento. Va da sè, quindi, che se si ha la possibilità di accumulare un certo numero di buoni pasto, è anche possibile spenderli quando si è in ferie e durante le giornate festive.

Insomma, non ci sono vincoli che impediscano di utilizzare i buoni pasto durante le vacanze, se non quello, appunto, di non poterne spendere più di 8 per volta, sia che si tratti di buoni cartacei, sia che si abbiano a disposizione dei buoni elettronici.

Le limitazioni riguardano, piuttosto:

  • il fatto che i buoni pasto vadano spesi per intero e non diano diritto a ricevere il resto;
  • le categorie merceologiche (è possibile acquistare solo cibi pronti o prodotti alimentari) per le quali è possibile spenderli;
  • le tipologie di esercizi nei quali è possibile effettuare i propri acquisti con questi strumenti di pagamento;
  • il fatto che ogni buono sia nominale e non cedibile a terzi.

Anche in questo caso, è sempre il Decreto 122/2017 a dirci presso quali esercizi si possono spendere i propri buoni pasto.

Chi ha a disposizione dei buoni pasto può spenderli:

  • nei servizi di mensa aziendale;
  • presso le attività che effettuano la somministrazione di alimenti e bevande quali, ad esempio, bar e ristoranti;
  • negli esercizi che effettuano la vendita al dettaglio di prodotti alimentari;
  • presso le aziende agricole;
  • in agriturismo;
  • presso gli ittiturismi;
  • nei mercati.

Ovviamente, tali esercizi devono essere convenzionati con la società erogatrice dei buoni pasto.

L’unico caso in cui un lavoratore non può spendere i buoni pasto durante il suo periodo di ferie è quando il contratto stipulato con l’azienda preveda delle limitazioni. Ad esempio, potrebbe contenere una clausola che impedisce al dipendente di spendere i buoni pasto al di fuori dell’ora di pranzo; o, ancora, potrebbe specificare che il loro utilizzo sia limitato alle sole giornate lavorative e alle giornate festive lavorate, escludendo quindi i giorni di ferie e le festività.

Se hai dei dubbi a riguardo, quindi, controlla il tuo contratto di lavoro per verificare di poter spendere i tuoi buoni pasto durante le ferie.

Riepilogando, durante i giorni di ferie i lavoratori non hanno diritto a ricevere i buoni pasto, ma possono comunque spenderli presso gli esercizi previsti dalla legge e convenzionati con la società emettitrice.

Se l’azienda per cui lavorano decide di erogarli comunque, tali buoni non saranno esenti da tassazione, ma andranno a fare cumulo con il reddito da lavoro dipendente.

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Chi lavora in smart working ha diritto ai buoni pasto?

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L’utilizzo sempre più diffuso dello smart working ha generato diversi quesiti sui diritti dei dipendenti che ne usufruiscono. Uno di questi riguarda l’erogazione dei buoni pasto. Ecco cosa sapere.

Lo smart working è una modalità di lavoro agile che sempre più aziende decidono di concedere ai propri dipendenti. Secondo la legge, il lavoratore agile ha diritto allo stesso trattamento dei dipendenti che si recano in sede ogni giorno. Tuttavia, la normativa non specifica se tale trattamento riguardi anche i buoni pasto.

La tua azienda ti ha proposto di lavorare in smart working e vuoi sapere se hai diritto ad usufruire dei buoni pasto? Vediamo tutto quello che c’è da sapere.

Buoni pasto e smart working

Questa modalità di lavoro è sempre più impiegata dalle imprese.

Mentre in passato i lavoratori potevano svolgere il proprio impiego esclusivamente all’interno delle aziende, oggi sono sempre di più le persone che scelgono di svolgere il proprio lavoro quotidiano da remoto, almeno per parte della settimana.

E aumenta il numero di aziende che si rende conto dei benefici che comporta offrire ai dipendenti la possibilità di lavorare da remoto e gestire il proprio lavoro con maggiore autonomia.

Lo smart working, infatti, presenta indubbi vantaggi per un lavoratore, dato che non richiede la sua presenza fisica in azienda e gli garantisce una maggiore flessibilità sia per quanto riguarda la scelta dell’orario di lavoro, sia per quanto riguarda la sede dove svolgere la propria prestazione lavorativa. Che può essere, ad esempio, la propria casa, un bar o uno spazio in coworking.

I buoni pasto sono tra gli strumenti più utilizzati da imprese e aziende.

Vengono erogati ai dipendenti che si trovano a consumare i pasti fuori casa durante le ore lavorative. Sono molto apprezzati anche dagli stessi lavoratori, in quanto permettono di ottenere un risparmio ragguardevole sulla spesa sostenuta per i pasti. Spesa che incide notevolmente sullo stipendio di chi si ritrova a mangiare fuori casa ogni giorno.

Per questo, uno dei dubbi che più di frequente sorgono in coloro che vorrebbero lavorare in modalità agile è se, anche operando in smart working, potranno continuare a ricevere i buoni pasto o se rischiano che l’azienda decida la sospensione della loro erogazione.

Spesso, infatti, viene fatta la considerazione che, svolgendo la propria mansione a casa, il lavoratore non abbia la necessità di acquistarsi il pranzo e, quindi, non abbia diritto ad usufruire del buono pasto.

Ma le cose stanno davvero così?

La normativa sui buoni pasto

Iniziamo col dire che, nonostante i buoni pasto siano un’agevolazione prevista dalla legge (come indennità sostitutiva di mensa), nessuna azienda è tenuta a corrisponderli ai propri dipendenti qualora non disponga di una mensa aziendale, in quanto essi non hanno una natura retributiva ma assistenziale.

Pertanto, sono considerati benefici accessori (i cosiddetti fringe benefit).

Un’impresa è tenuta a erogarli solo nel caso in cui siano previsti dai contratti collettivi nazionali delle varie categorie.

Fatta questa premessa, entriamo più nello specifico e andiamo a vedere cosa dice la normativa su buoni pasto e smart working.

Per capire se, secondo la legge, un lavoratore abbia diritto o meno a ricevere i buoni pasto anche operando in smart working, bisogna fare riferimento non solo alle norme che regolano l’erogazione di questo tipo di agevolazione, ma anche alla legge che regola il lavoro agile.

Iniziamo dai buoni pasto. La norma che ne regola le modalità di erogazione e la fruizione è il Decreto 122 del 7 giugno 2007. Tale decreto individua gli esercizi presso i quali può essere erogato il servizio sostitutivo di mensa attraverso l’uso dei buoni pasto e stabilisce i requisiti per l’erogazione degli stessi.

In particolare, al comma C dell’articolo 4, il decreto stabilisce che hanno diritto a ricevere i buoni pasto solo coloro che prestano lavoro subordinato, a tempo pieno o parziale, anche nel caso in cui l’orario di lavoro non preveda una pausa per il pranzo. Tale diritto è esteso anche alle risorse che abbiano instaurato con il cliente un rapporto di collaborazione non subordinato.

Anche se lo smart working non è espressamente citato, questa definizione non ha vincoli particolarmente stringenti e lascia ampio spazio di interpretazione, specialmente nella parte in cui dice che si ha diritto a ricevere il buono pasto anche qualora l’orario giornaliero di lavoro non preveda una pausa per il pranzo.

Per avere una risposta più esaustiva, proviamo a vedere cosa dice la Legge n° 81 del 22 maggio 2017 che, al capo II, dà precise disposizioni in merito al lavoro agile.

Il comma 1 dell’articolo 20, in particolare, afferma che il lavoratore che svolge la propria occupazione in modalità di lavoro agile ha diritto a un trattamento economico e normativo non inferiore a quello applicato nei confronti delle risorse che svolgono le stesse mansioni all’interno dell’azienda.

In questo caso, pur non avendo un preciso riferimento ai buoni pasto, la norma può essere interpretata a favore del rilascio dei buoni pasto anche allo smart worker, in quanto quest’ultimo ha diritto al medesimo trattamento del lavoratore che svolge la propria occupazione esclusivamente all’interno dell’azienda.

Sempre nella stessa legge, all’articolo 19, viene specificato inoltre che le modalità di lavoro agile devono essere regolamentate da un accordo individuale scritto tra il datore di lavoro e il proprio dipendente. Tale accordo può comprendere anche l’erogazione dei buoni pasto.

 

Dunque possiamo concludere che i buoni pasto non sono espressamente concessi durante lo smart working, ma non sono neanche espressamente vietati.

La scelta su cosa fare dipende quindi solo ed esclusivamente dall’azienda.

Il datore può comunque erogare i buoni pasto?

Come abbiamo visto, la normativa che disciplina l’erogazione dei buoni pasto è piuttosto ampia e lascia ampia discrezionalità ai datori di lavoro.

Anche se non li obbliga a erogare i buoni pasto (a meno che non siano compresi nei contratti collettivi nazionali), essi possono decidere autonomamente di offrire questo bonus ai propri dipendenti.

La stessa normativa, sebbene non faccia specifico riferimento allo smart working, lascia intendere che anche i dipendenti che operano da remoto abbiano diritto a ricevere questo tipo di prestazione.

Molte aziende scelgono di erogare i buoni pasto anche alle risorse che svolgono la propria attività in via telematica, in quanto sanno benissimo che questi dipendenti non lavorano solo da casa, ma si spostano anche in spazi di coworking o in altre sedi aziendali.
C’è da dire poi che anche quando il lavoratore si trova nella propria abitazione, si ritrova a consumare i pasti durante l’orario di lavoro, perciò potrebbe comunque avere diritto al buono pasto.

Altre aziende, invece, ritengono che, operando da casa, il proprio dipendente non abbia bisogno di spendere soldi per il pasto, perciò il buono pasto non gli sarebbe necessario, così come il servizio di mensa aziendale.

A volte, sono gli stessi accordi sindacali a limitare la possibilità di uno smart worker di ottenere i buoni pasto.

I dipendenti privati, quindi, devono rifarsi ai contratti individuali e collettivi propri della propria azienda e del proprio settore per sapere se hanno diritto al riconoscimento dei buoni pasto anche qualora lavorino da remoto.

Starà al datore di lavoro stabilire se un lavoratore che opera in smart working abbia diritto ai buoni pasto.

Se stai già lavorando in smart working o stai per iniziare a farlo, controlla cosa prevede il contratto collettivo nazionale del tuo settore, e l’accordo che hai stipulato con la tua azienda, per verificare che all’interno degli stessi siano compresi anche i buoni pasto e quindi anche tu abbia diritto ad usufruirne.

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La tassazione dei fringe benefits

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Sono sempre di più le aziende che sviluppano piani di welfare aziendale che comprendono l’erogazione di fringe benefits. Scopri se, quando e come vengono tassati.

Considerati come benefici in natura, i fringe benefits sono beni e servizi alternativi alla retribuzione in denaro che finiscono comunque in busta paga. Ecco tutto quello che c’è da sapere sulla loro tassazione.

I fringe benefits sono tassati?

Secondo il principio di omnicomprensività stabilito dal comma 1 dell’articolo 51 del TUIR qualsiasi bene, servizio o somma di denaro che il datore di lavoro abbia attribuito al dipendente deve necessariamente risultare in busta paga.

Quindi tutti i fringe benefits, che sono delle agevolazioni concesse da un’azienda ai propri dipendenti, devono essere indicati in busta paga.

Ciò vuol dire che verranno tassati? La risposta a questa domanda è quasi sempre sì.

La maggior parte dei fringe benefits è considerata parte del reddito accumulato dal lavoratore nel corso dell’anno d’imposta e quindi viene assoggettata a tassazione INPS e IRPEF.

Diciamo quasi sempre perché ci sono dei casi in cui i fringe benefit sono esclusi dalla tassazione, e altri in cui le tasse sono dovute solo per una parte del valore del bene o servizio accessorio erogato dall’azienda al proprio collaboratore.

Per calcolare correttamente le imposte dovute sui fringe benefit, bisogna anche tenere conto della differenza tra la base contributiva e la base retributiva. Per quanto riguarda il versamento dei contributi, infatti, esistono delle soglie oltre le quali un bene o servizio non è più tassabile. Per il versamento dell’imposta sui redditi, invece, può diventare imponibile l’intero valore del bene, a meno che esso non sia compreso tra i casi di esclusione totale o parziale.

Solitamente, è il datore di lavoro che inserisce i fringe benefit in busta paga e si occupa di trattenere alla fonte la quota dovuta per il pagamento delle imposte. Tuttavia, anche per il dipendente è importante conoscere sempre il valore del fringe benefit che viene erogato e i casi in cui esso può essere escluso totalmente o parzialmente dalla tassazione.

Casi di esclusione dalla tassazione

Anche se la maggior parte dei fringe benefits viene tassata, ci sono diversi casi in cui essi sono esenti in maniera totale o parziale dall’imposizione fiscale.

Come per il principio di omnicomprensività, anche in questo caso a venirci in aiuto per farci capire quali sono i casi in cui i fringe benefit sono esclusi dalla tassazione è l’articolo 51 del TUIR, che elenca tutti i casi in cui essi sono esenti dal rientrare nella base imponibile per il pagamento delle imposte.

Vediamo quali sono i principali casi di esclusione dei fringe benefits dal pagamento delle tasse, tenendo anche conto dell’aggiornamento del TUIR alla legge di bilancio 2020:

  • i contributi previdenziali versati e assistenziali versati dal datore di lavoro o dal lavoratore in ottemperanza agli obblighi di legge, e i contributi di assistenza sanitaria versati ad enti che hanno esclusiva finalità assistenziale fino a un importo massimo di 3615,20;
  • la somministrazione di vitto da parte del datore di lavoro all’interno di mense aziendali gestite direttamente dall’azienda o da soggetti terzi;
  • la prestazione di servizi di trasporto collettivo offerta alla collettività o a una sola categoria di dipendenti, anche se affidata ad aziende di trasporto pubblico;

le somme erogate o rimborsate per l’acquisto di abbonamenti ai mezzi di trasporto pubblico alla collettività dei dipendenti o a una parte di essi o ai loro familiari;

  • tutte le somme, i servizi e le prestazioni erogati dalle imprese alla generalità o a una parte dei dipendenti per far sì che i loro familiari possano avere accesso ai servizi di istruzione (anche scuole dell’infanzia), ai servizi di mensa ad essi collegati, alle ludoteche, ai centri estivi e doposcuola;
  • le borse di studio erogate ai familiari dei dipendenti;
  • le assicurazioni stipulate dall’azienda contro il rischio di infortuni a carico del lavoratore;
  • il valore delle azioni in stock option a condizione che rimangano in possesso del dipendente per almeno 3 anni.

Questi sono i principali casi di esclusione totale dei fringe benefits dalla tassazione. Ci sono, poi, altre agevolazioni che concorrono solo in parte a formare il reddito imponibile. Tra le più importanti ci sono:

  • i buoni pasto;
  • l’auto aziendale ad uso promiscuo (se l’auto è ad esclusivo uso aziendale è invece totalmente esente dalla tassazione);
  • i prestiti a tasso agevolato erogati dal datore di lavoro ai collaboratori;
  • i fabbricati concessi in locazione, in uso o in comodato;
  • i rimborsi spese.

Qual è la normativa in fatto di tassazione dei fringe benefits?

La normativa di riferimento per la tassazione dei fringe benefits è il TUIR (il Testo Unico sull’Imposta dei Redditi), emanato con il Decreto del Presidente della Repubblica n° 917 del 22 dicembre 1986 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 31 dicembre dello stesso anno), di cui ogni anno viene approvata una versione aggiornata all’attuale legge di bilancio.

L’articolo 51 del TUIR, in particolare, contiene tutte le disposizioni sulla determinazione del reddito da lavoro dipendente e, quindi, stabilisce anche quali siano i fringe benefits che rientrano nel reddito imponibile e i casi di deducibilità totale o parziale.

Esonero dei fringe benefit dalla tassazione

Secondo quanto stabilito dalla legge: tutti i beni o servizi erogati dal datore di lavoro ai dipendenti sotto forma di contributo liberale, compresi voucher, buoni sconto e omaggi aziendali (sono esclusi i buoni pasto) nel medesimo anno di imposta, sono esonerati dal concorrere alla formazione del reddito da lavoro dipendente per un importo complessivo di 258,23 euro.

Nel caso in cui venga riconosciuto un fringe benefit di valore superiore a questo limite, esso concorrerà per intero alla formazione del reddito imponibile.

Anche i buoni pasto sono esclusi dalla tassazione, ma solo nel caso in cui non siano di importo superiore ai 4 euro per quanto riguarda i buoni cartacei, e agli 8 euro per i buoni elettronici. In caso vengano erogati al lavoratore buoni di importi maggiori, la parte eccedente i limiti fissati dalla legge concorrerà a formare il reddito imponibile.

Valore normale e valore convenzionale

Al fine di inserire correttamente in busta paga gli importi che formano il reddito da lavoro dipendente, è importante conoscere con certezza il valore del bene.

Nella maggior parte dei casi, si considera come base imponibile il valore normale del bene (art. 9 del TUIR9, che consiste nel prezzo praticato in media per la sua vendita.

Ci sono poi alcune eccezioni, come le auto aziendali ad uso promiscuo, gli immobili offerti al dipendente e i prestiti in cui la base imponibile è data da un valore convenzionale.

Esempio di calcolo della tassazione dei fringe benefits in busta paga

Vediamo un esempio concreto di come i fringe benefits erogati al lavoratore dipendente vengono contabilizzati in busta paga.

Uno dei fringe benefit più diffusi in assoluto è costituito dai buoni pasto.

Mettiamo il caso che un dipendente riceva dal suo datore di lavoro dei buoni pasto elettronici del valore di 11,50 euro. La parte che eccede gli 8 euro giornalieri sarà assoggettata al versamento dei contributi e delle tasse. Ipotizziamo che i buoni pasto gli siano stati riconosciuti per 20 giorni nel mese di marzo.
Questa sarà la sua ipotetica busta paga:

  • retribuzione lorda euro 1.850,00;
  • quota assoggettabile a tassazione                               3,5 euro x 20 giorni = euro 70,00.

Ai fini del calcolo dei contributi INPS la retribuzione da prendere in considerazione sarà pari alla retribuzione lorda sommata alla quota dei buoni pasto assoggettabile a tassazione, quindi:

1.850,00 + 70,00 = 1.920,00.

Applicando a questa base imponibile l’aliquota INPS del 9,19 % si ottiene un importo di 176,44 euro, che andrà inserito in busta paga come quota contributiva da versare.

Questo per quanto riguarda la contribuzione.

Adesso bisogna calcolare l’IRPEF, cioè l’imposta sul reddito da lavoro dipendente.

La base imponibile per il calcolo dell’IRPEF è data dalla somma del reddito lordo alla quota di buoni pasto assoggettabile a tassazione, a cui si sottrae l’importo dovuto per i contributi INPS, quindi:

(1850 + 70) – 176,44= 1743,56

La base imponibile per l’IRPEF è quindi di euro 1743,56. Su di essa viene calcolato l’importo dell’IRPEF lorda, a cui vanno poi sottratte le detrazioni per lavoro dipendente e gli eventuali carichi di famiglia per ottenere l’IRPEF netta.

Supponendo che l’IRPEF netta (IRPEF lorda – detrazioni) sia pari ad euro 233,50, la busta paga del dipendente comprensiva di fringe benefit sarà così composta.

 

Retribuzione lorda euro 1.850,00
Buoni pasto non esenti euro 70,00
Contributi INPS Euro 176,44
IRPEF netta 233,50
Netto a pagare 1510,06

 

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Come fare la spesa con i buoni pasto

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Fare la spesa con i buoni pasto

Uno dei maggiori vantaggi dei buoni pasto è la possibilità di usarli anche per fare la spesa.  Scopri tutte le informazioni sulle modalità e le limitazioni che riguardano l’utilizzo dei buoni pasto per fare acquisti.

Tra i benefit aziendali più apprezzati dai lavoratori ci sono i buoni pasto: ticket cartacei o elettronici che possono essere utilizzati per acquistare non solo pasti già pronti, ma anche prodotti alimentari di vario genere.

In questo articolo potrai scoprire tutto quello che c’è da sapere su come fare la spesa con i buoni pasto.

Quanti buoni pasto si possono usare per la spesa?

Cumulare i buoni pasto e usarli anche per fare la spesa per la famiglia, oltre che per acquistare pasti già pronti durante la pausa pranzo, è sempre stata una pratica comune tra i lavoratori dipendenti che li ricevono dalle proprie aziende, in sostituzione del servizio mensa.

Ma cosa vuol dire, di preciso, cumulare? Non vuol dire certo possedere più buoni contemporaneamente! Essi, infatti, vengono consegnati in blocchetti o caricati sulla card a inizio mese (se si tratta di buoni pasto elettronici), perciò è normale possederne più di uno.

Cumulare i buoni pasto vuol dire utilizzarne più di uno contemporaneamente per acquistare pasti già pronti, oppure fare la spesa.  

I buoni pasto sono un servizio sostitutivo di mensa, perciò la legge, in passato, ne vietava la cumulabilità e, almeno in teoria, obbligava i lavoratori a spenderne non più di uno al giorno; inoltre, prevedeva che gli esercizi commerciali non ne accettassero in pagamento un numero maggiore.

Dal 2017, con l’emanazione del Decreto del Ministero dello Sviluppo Economico n°122, le regole per l’utilizzo dei buoni pasto sono cambiate: grazie alla nuova normativa, ora è possibile utilizzare più buoni contemporaneamente per fare la spesa negli esercizi indicati.

L’articolo 4 del decreto, infatti, stabilisce che i ticket “non sono cedibili, né cumulabili oltre il limite di otto buoni”.

Quindi ogni lavoratore, per fare la spesa, può usare un massimo di 8 buoni pasto: un bel vantaggio per le famiglie, che in questo modo possono risparmiare qualcosa sul budget dedicato all’acquisto di generi alimentari.

Ci sono dei vincoli?

Alcuni vincoli sulle modalità di utilizzo dei buoni pasto, tuttavia, sono rimasti in vigore.

In particolare, continua ad essere vietato:

  • cedere i buoni pasto ad altre persone. I ticket sono nominativi e quindi non possono essere ceduti dal titolare ad altri, neanche se appartenenti al proprio nucleo familiare;
  • convertire i buoni pasto in denaro;
  • acquistare determinate categorie di prodotti. A differenza dei buoni spesa, che non hanno limiti, i buoni pasto solitamente non possono essere usati per acquistare bevande alcoliche, prodotti non alimentari o comunque prodotti che l’eventuale esercizio commerciale decide di vincolare o escludere.

Il vincolo sulla spendibilità dei buoni soltanto nelle giornate lavorative è invece decaduto, perciò è possibile fare acquisti coi buoni pasto anche nei giorni festivi e quando si è in ferie.

Dove fare la spesa con i buoni pasto?

La legge sui buoni pasto, nel garantire la possibilità di cumularli, ha ampliato anche la platea degli esercizi nei quali poter spendere i propri ticket.

Ecco una lista dei principali esercizi in cui è possibile utilizzare i buoni pasto per fare la propria spesa tutti i giorni della settimana:

  • bar, ristoranti, pizzerie;
  • tavole calde e self-service;
  • mense aziendali;
  • supermercati e negozi di alimentari;
  • gastronomie e rosticcerie;
  • negozi che vendono prodotti biologici;
  • mercati;
  • chioschi di street food;
  • imprese artigiane del settore alimentare (ad esempio le pasticcerie);
  • agriturismi;
  • spacci aziendali;
  • imprese agricole che vendono i loro prodotti;

Il fatto che siano indicate nell’elenco presente nel decreto, tuttavia, non obbliga queste attività ad accettare i buoni pasto.

Solo gli esercizi convenzionati con le società emettitrici dei buoni pasto forniti dall’azienda li accettano come modalità di pagamento. Solitamente, per segnalare che in un locale è possibile pagare con un certo tipo di buoni, gli esercenti convenzionati con queste società mettono all’ingresso un adesivo apposito, così i clienti possono saperlo con certezza ancora prima di entrare.

Chi possiede dei buoni pasto elettronici prima di pagare dovrebbe informarsi se l’esercizio in cui intende spenderli li accetti o meno. A differenza dei ticket cartacei, che si usano un po’ come il denaro in contante e necessitano solo di essere controfirmati per essere validati, i ticket elettronici, per poter essere validati, necessitano di un POS diverso da quello delle carte di credito, che viene fornito agli esercizi dalla società emettitrice.

Day mette a disposizione delle persone che utilizzano i suoi buoni pasto due utili strumenti per verificare quali siano gli esercizi commerciali della tua zona che li accettano come mezzo di pagamento: la App Buoni Up Day e il servizio Trovalocali.

Con la App Buoni Up Day (disponibile sia nell’AppStore, sia sul PlayStore) non solo si possono trovare i locali della propria zona dove è possibile spendere i buoni pasto e controllare quale tipo di ticket accettano. Dopo aver caricato i codici dei buoni elettronici e cartacei sulla App, la si può usare anche per tenere sotto controllo la quantità di buoni utilizzati, calcolare il numero di ticket da usare per pagare e pagare i prodotti acquistati con i buoni pasto che si hanno a disposizione.

Il servizio Trovalocali Day, invece, è consultabile direttamente online: basta andare sul sito, indicare l’indirizzo o la località in cui ci si trova, il tipo di buoni pasto accettati dagli esercizi e premere cerca. In pochi secondi compariranno sullo schermo i nomi dei locali che accettano i buoni pasto che si trovano nelle vicinanze.

Pagando coi buoni pasto si ha diritto a ricevere il resto?

Una delle domande che si pongono più di frequente le persone che utilizzano i buoni pasto è se, pagando con essi, hanno diritto a ricevere il resto, qualora l’importo dei buoni spesi sia superiore a quanto dovuto.

Purtroppo, pagare con i buoni pasto non dà diritto a ricevere il resto, se l’importo totale dei prodotti acquistati è inferiore a quello dei ticket.

Se, ad esempio, acquisti dei prodotti per un totale di 12 euro e, per pagare, utilizzi due buoni del valore di 7 euro l’uno, non avrai diritto a ricevere i 2 euro di resto.

Per evitare di perdere parte del valore nominale del buono pasto, perciò, spesso si usa un numero di buoni inferiore al valore dell’importo da pagare e si versa un contributo in denaro per coprire la differenza.

Tornando all’esempio di prima, quindi, puoi anche decidere di pagare con un solo buono pasto da 7 euro e coprire l’importo residuo di 5 euro pagando con denaro contante.

Come fare la spesa online con i buoni pasto?

Sempre più spesso le persone scelgono di fare i propri acquisti online, anche quando si tratta di prodotti alimentari. Per questo in tanti si chiedono se sia possibile e come si possa pagare la spesa online con i buoni pasto.

Iniziamo col dire che sì, è possibile fare acquisti online con i buoni pasto, anche se questo metodo di pagamento non è ancora così diffuso, nell’ambito degli acquisti fatti sul web.

Per quanto riguarda la domanda su come fare la spesa su Internet con i buoni pasto, non c’è un’unica risposta. Ogni società emettitrice di buoni pasto e ogni e-commerce, infatti, adottano politiche diverse in merito alla possibilità di pagare ciò che si è acquistato online con questo mezzo di pagamento.

In alcuni casi l’e-commerce di un negozio fisico dal quale si è abituati a fare acquisti coi buoni pasto non li accetta come metodo di pagamento, altre volte invece sì. Così come ci sono negozi che vendono solo online che, invece, li accettano.

Ci sono poi i casi in cui si può pagare solamente con i buoni pasto cartacei, e quelli in cui si possono usare solo i ticket elettronici.

A volte, anche quando un e-commerce permette ai propri clienti di pagare con i buoni pasto, può non accettare la tipologia di ticket erogata dalla propria azienda.

Sono meglio i buoni cartacei o quelli elettronici per fare la spesa online?

Per quanto riguarda il pagamento online con l’una o l’altra tipologia di buoni pasto, non ce n’è una migliore dell’altra. Anche in questo caso, sono gli esercenti a decidere se accettarle o meno entrambe.

Ad esempio, alcuni e-commerce accettano i buoni pasto cartacei solo se si sceglie di pagare in contrassegno.

Per fare la spesa online con i buoni pasto elettronici, invece, bisogna verificare che il sistema di pagamento elettronico utilizzato dall’e-commerce accetti la card della società emettitrice. In alcuni casi, è possibile caricare i buoni pasto forniti dall’azienda sull’app fornita dalla società emettitrice e convertirli in un codice spendibile negli e-commerce convenzionati.

Per sapere se e come si può pagare online con i buoni pasto, perciò, la cosa migliore da fare è controllare le condizioni di vendita del sito web da cui si intende fare acquisti, oppure contattare il servizio clienti.

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Buonissimo: il buono pasto che crea valore sul mercato

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Buonissimo

Up Day lancia sul mercato del buono pasto un nuovo prodotto: Buonissimo, un buono esclusivamente elettronico in grado di creare un circolo virtuoso e creare connessioni positive tra aziende, utilizzatore ed esercente con benefici per tutti.

Rete di partner allargata

Infatti, le aziende che scelgono Buonissimo hanno a disposizione uno strumento per motivare e fidelizzare ancora di più i propri collaboratori che, tramite app e card, accedono ad una ampia e privilegiata rete di partner: non solo gli attuali 110.000 già attivi sul territorio ma anche grandi catene discount e negozi di prossimità, oltre alle piattaforme di delivery e di E-Commerce della GDO, che fanno del risparmio il loro punto di forza.

Cash back per gli utilizzatori

L’utilizzatore avrà inoltre a disposizione, per ogni buono impiegato nei negozi di prossimità, cash back garantito sotto forma di punti e programmi di loyalty in buoni spesa Cadhoc, con l’obiettivo di incentivare i consumi e sostenere i piccoli esercizi.

Benefici per gli esercenti

I benefici sono evidenti anche per gli esercenti perché con Buonissimo la commissione di gestione si riduce ai minimi termini, trasformandosi in maggiore servizio per il beneficiario finale.

Up Day si impegna a creare Valore

Questo nuovo approccio al buono pasto sottolinea l’impegno di Up Day nel voler creare valore per l’intera filiera con soluzioni eque e sostenibili per le famiglie, per gli esercenti e per le aziende.

Buonissimo deriva in parte dall’esperienza dei buoni solidali alimentari in cui Up Day si è distinta recentemente, mettendo a disposizione dei Comuni tutte le sue competenze e i suoi strumenti tecnologici e finanziari per sostenere l’intero ecosistema nel fronteggiare il periodo di crisi sanitaria e di emergenza alimentare che hanno colpito il Paese.

Infatti in quel contesto, Up Day ha emesso buoni alimentari solidali al prezzo di costo e con una marginalità totalmente azzerata, in linea con quanto promulgato da ANSEB, l’Associazione nazionale che rappresenta le società che emettono buoni pasto e buoni spesa.

Rapporto welfare firmato Up Day Tecnè

Inoltre, quanto emerso dal Rapporto sul Welfare Aziendale firmato Up Day in collaborazione con Tecnè, primario istituto di ricerca sul panorama nazionale, è ulteriore riprova dei benefici che strumenti come il buono pasto e il buono spesa portano alle famiglie con diretta positiva ricaduta sui consumi, soprattutto in un periodo come quello attuale. Infatti, per il 92% dei lavoratori, avere a disposizione Buoni Spesa o Buoni Pasto rappresenta inequivocabilmente un netto vantaggio, per il 95,4% questi strumenti sono un importante contributo per arrivare a fine mese e, allo stesso modo, il 95,8% li vede come ausilio sostanziale per il bilancio familiare.

Nonostante sia alto l’apprezzamento dei Buoni Pasto e Buoni Spesa da parte delle aziende e dei lavoratori che li hanno, è solo il 27,5% degli intervistati a usufruire di questi strumenti in Italia.

Incrociando, quindi, i dati estremamente positivi sui vantaggi del welfare aziendale, con le evidenze di una diffusione che ha ancora un ampio margine di crescita all’interno del tessuto economico italiano, emerge l’enorme potenziale di queste tipologie di strumenti. A fronte di una crescita ulteriore in termini di utilizzo, infatti, la curva di benessere e consumi dell’intero paese potrebbe crescere in maniera importante.

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Buoni Pasto Elettronici: ecco come si usano

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Buoni pasto elettronici: come utilizzarli

I buoni pasto elettronici rappresentano l’evoluzione dei buoni cartacei. Vengono caricati su una card elettronica e possono essere utilizzati esattamente nello stesso modo dei ticket classici. Ecco una pratica guida sui buoni pasto elettronici, per aiutarti a capire come funzionano e come si usano.

I buoni pasto elettronici sono l’alternativa pratica e conveniente ai buoni pasto cartacei: sicuri, facili da usare, sono spendibili in tutti gli esercizi convenzionati che li accettano come metodo di pagamento. Scopri tutto quello che c’è da sapere sui buoni pasto elettronici.

Cosa sono i buoni pasto elettronici?

Spesso le aziende, per migliorare le politiche di welfare aziendale, offrono ai dipendenti tutta una serie di benefit che risultano vantaggiosi sia per le imprese stesse, sia per i dipendenti.

Uno dei benefit più diffusi, insieme al telefono e all’auto aziendale, è rappresentato dai buoni pasto: un vero e proprio servizio sostitutivo di mensa che viene erogato ai lavoratori che si trovano a mangiare spesso fuori casa a causa del lavoro.

Fin dalla loro comparsa, i buoni pasto sono stati erogati al dipendente sotto forma di voucher numerati raccolti in carnet. L’uso sempre più diffuso della moneta elettronica, la necessità di sprecare meno carta e la maggiore praticità delle carte elettroniche hanno portato, negli anni, a un’evoluzione questo strumento di pagamento. Così i buoni pasto cartacei sono diventati elettronici.

I buoni pasto elettronici, quindi, sono dei buoni pasto dematerializzati, che funzionano nella stessa maniera e possono essere usati nello stesso modo dei buoni cartacei.

Oggi, sono sempre di più le aziende che scelgono di abbandonare i ticket cartacei per offrire ai propri dipendenti quelli elettronici, per via dei maggiori vantaggi offerti da questi ultimi.

Il loro utilizzo è regolamentato dalla stessa normativa che regolamenta l’uso dei buoni pasto cartacei: il Decreto del Ministero dello Sviluppo Economico n°122 del 2017.

Differenza tra buoni pasto elettronici e buoni cartacei

Anche se il principio di funzionamento dei buoni pasto elettronici è lo stesso dei cartacei, ci sono comunque delle differenze tra i due mezzi di pagamento. Vediamo quali sono le principali:

  • i buoni pasto elettronici vengono caricati su una carta elettronica con microchip o banda magnetica, invece di essere raccolti in carnet;
  • la soglia di esenzione dalla tassazione retributiva e contributiva è più alta rispetto a quella fissata per i cartacei;
  • con i buoni pasto elettronici si può tenere traccia delle spese e dei pagamenti effettuati con questi ultimi;
  • il datore di lavoro può decidere di limitare l’utilizzo dei buoni pasto elettronici che hanno la funzione di mensa aziendale diffusa (ad esempio, potrebbe ridurre la soglia di cumulabilità, oppure limitarne l’uso alle sole giornate lavorative);
  • in caso di smarrimento della card su cui sono caricati i buoni, è possibile bloccarla, richiederne una nuova e recuperare tutti i buoni pasto perduti.

Quello che rimane uguale, invece, rispetto ai buoni cartacei è:

  • il numero di buoni erogato mensilmente, che dipende sempre dai giorni effettivamente lavorati dal dipendente;
  • la possibilità di cumularli: come per i buoni cartacei, anche i buoni elettronici sono cumulabili fino a un massimo di 8 ticket al giorno;
  • il fatto che non ci sia un limite di spesa, se non quello dato dal numero di buoni cumulabili;
  • il divieto di utilizzo della card da parte di persone diverse dal titolare;
  • il divieto di convertire il buono digitale in denaro contante.

Alcune delle maggiori differenze tra buoni pasto elettronici e cartacei rappresentano anche alcuni dei vantaggi dell’uso dei primi rispetto all’impiego dei secondi: se i buoni pasto cartacei hanno una soglia di esenzione dal reddito imponibile di soli 4 euro, quelli elettronici non concorrono alla formazione del reddito fino a che non superano gli 8 euro a ticket.
Ciò significa ottenere un risparmio notevole, anche rispetto al versamento dei buoni pasto direttamente in busta paga, e avere a disposizione buoni che garantiscono un maggiore potere d’acquisto.

Inoltre i ticket elettronici non si deteriorano e sono meno soggetti a furti e smarrimenti.

L’adozione dei buoni pasto elettronici comporta vantaggi e agevolazioni fiscali anche per l’azienda, che avrà l’IVA agevolata al 4% sul loro acquisto e, fino alla soglia di 8 euro a ticket, non dovrà versare né INPS, né IRAP.

Come funzionano i buoni pasto elettronici?

Il funzionamento dei buoni pasto elettronici è estremamente semplice. Più semplice, forse, rispetto all’utilizzo dei buoni cartacei.

Per usarli, infatti, non serve staccarli dal blocchetto e firmarli: al momento di pagare, basta consegnare la propria carta elettronica all’esercente, che la inserirà nell’apposito POS e scalerà l’importo dovuto.

A pagamento avvenuto, il POS rilascia uno scontrino su cui è indicato lo stato della transazione (se è andata o meno a buon fine), il valore dei buoni utilizzati e il numero di buoni residui.

Nel caso il valore dei buoni spesi sia inferiore all’importo dovuto, sullo scontrino verrà anche registrato il contributo in denaro da versare. Come per gli acquisti fatti con i buoni cartacei, anche quelli effettuati con buoni elettronici non danno diritto a ricevere il resto, se l’importo dei buoni utilizzati supera quello dovuto.

Anche con i buoni elettronici si può fare la spesa oppure acquistare pasti già pronti durante la pausa pranzo negli esercizi convenzionati (bar, ristoranti, tavole calde, self- service, gastronomie, supermercati).

Tra i prodotti che si possono comprare non ci sono solo i pasti pronti, ma anche generi alimentari di vario tipo. Restano esclusi, solitamente, i prodotti non alimentari e gli alcolici.

Grazie alla App Buoni Up Day, è possibile tenere traccia delle spese effettuate con i buoni pasto elettronici, dell’importo ancora disponibile sulla card e generare un codice che permette di pagare presso gli esercenti abilitati senza portarsi dietro la card.

Sia la App, sia il servizio trovalocali.day.it offrono la possibilità di trovare i locali dove si possono spendere i buoni pasto erogati dalla propria azienda e di sapere se accettano o meno i ticket elettronici.

Come si ricaricano i buoni pasto elettronici?

Per poterli utilizzare, i buoni pasto elettronici devono essere caricati sull’apposita carta.

Ricaricare periodicamente i buoni pasto elettronici è, per l’azienda, molto semplice.

Mentre in passato il dipendente riceveva un nuovo carnet di ticket all’inizio di ogni mese, con i buoni pasto elettronici è sufficiente che la card venga usata in uno qualsiasi dei POS abilitati per effettuare l’operazione di ricarica, dopo che il datore di lavoro avrà stabilito la quantità di buoni che spetta al collaboratore.

Al termine dell’operazione, il POS emetterà uno scontrino in cui viene specificato il numero di buoni caricati sulla card.

I POS per i buoni pasto elettronici dove effettuare la ricarica si trovano sia negli esercizi convenzionati, sia negli uffici preposti della propria azienda.

Come attivare i buoni pasto elettronici?

Le modalità di attivazione dei buoni pasto in formato elettronico coincidono con quelle di ricarica.

Dopo che l’azienda ha deciso di erogargli i buoni pasto elettronici, al dipendente viene consegnata una tessera elettronica personale che riporta i seguenti dati:

  • il codice fiscale o la ragione sociale del datore di lavoro e della società emettitrice;
  • il valore facciale espresso nella valuta corrente;
  • il termine di utilizzo (scadenza);
  • un codice identificativo che sostituisce l’obbligo di firma.

La card viene consegnata già attiva, ma senza che su di essa siano ancora stati caricati i buoni pasto. Per conoscere lo stato della card, occorre comunque registrarla sul portale o sull’App della società emettitrice, così da avere tutte le informazioni su di essa e sul numero di buoni che si ha diritto a ricevere.

Affinché i ticket elettronici vengano caricati sulla nuova card, bisogna poi recarsi presso l’ufficio preposto della propria azienda o presso uno degli esercenti convenzionati e chiedere che venga effettuata l’operazione di ricarica.

Per gli esercizi commerciali: come accettare i buoni pasto elettronici?

Anche se la carta che contiene i buoni pasto elettronici assomiglia in tutto e per tutto ad una carta di credito, per poterli accettare come metodo di pagamento non è sufficiente essere in possesso di un normale terminale per le carte di credito.

Per poter accettare i buoni pasto elettronici un esercente deve essere in possesso di uno speciale POS, dedicato solamente a questo tipo di operazione.

Dopo aver stipulato il contratto di convenzione con la società emettitrice dei buoni, sarà lei stessa a fornire all’esercizio il terminale per i buoni pasto elettronici. Da qualche anno, grazie ad un accordo raggiunto tra alcune delle società che si occupano di emettere i buoni pasto, con un solo POS è possibile accettare i buoni elettronici non solo di Day, ma anche di altre realtà che operano in questo settore.

Una volta in possesso del POS, si potranno accettare con facilità i pagamenti effettuati tramite i buoni pasto: sarà sufficiente inserire la card del cliente all’interno del terminale e selezionare l’importo dovuto per far partire la transazione. I buoni scalati dalla carta saranno immediatamente trasmessi alla società che li emette.

Un’operazione molto più snella, rispetto a quella che si effettua per ritirare i buoni cartacei, che per essere validati devono essere inviati alla società emettitrice oppure scansionati uno per uno con l’apposita App.

 

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Flexible benefits: cosa sono e come funzionano

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Oggi sempre più aziende sviluppano piani di welfare aziendale che prevedono di offrire ai dipendenti beni e servizi di varia natura. Scopri cosa sono i flexible benefits e perché sono vantaggiosi per aziende e lavoratori.

Negli ultimi anni è aumentato il numero delle imprese attente ai bisogni dei propri dipendenti e che decidono di rispondere a queste necessità con l’erogazione di beni e servizi per rendere più facile la loro vita lavorativa e familiare.

In questa guida troverai tutto ciò che vuoi sapere sui flexible benefits, cosa sono e come funzionano.

Cosa sono i flexible benefits

Sono sempre di più le aziende attente al benessere dei propri dipendenti che decidono di attuare dei piani di welfare aziendale per migliorare il cosiddetto “work-life balance”.

I flexible benefits sono uno dei punti cardine di questi piani di welfare aziendale. Si tratta, infatti, di un ventaglio piuttosto ampio di beni e servizi che i datori di lavoro mettono a disposizione dei propri dipendenti.

Oltre a migliorare e rendere più serena la vita dei lavoratori che possono usufruirne, i flexible benefits hanno anche il vantaggio di ridurre il cuneo fiscale, in quanto sono totalmente esclusi dall’imposizione di carichi contributivi e retributivi. Proprio tale vantaggio fa sì che molte persone scelgano di convertire in flexible benefits il proprio premio di risultato.

Perché un lavoratore dipendente abbia diritto a ricevere queste agevolazioni, l’erogazione dei benefit deve essere prevista dal CCNL di riferimento, oppure essere frutto di un accordo stipulato con le rappresentanze sindacali. A volte, sono le stesse imprese a prendere l’iniziativa di predisporre dei piani di welfare che comprendono anche i flexible benefits.

Esempi di flexible benefits

La categoria dei flexible benefits comprende un ventaglio piuttosto ampio di beni e servizi, che le aziende mettono a disposizione dei propri dipendenti per migliorare l’equilibrio vita-lavoro.

Tra i flexible benefits più diffusi ci sono:

  • servizi complementari di assistenza sanitaria;
  • servizio di mensa aziendale;
  • piani di previdenza complementare;
  • servizi dei settori benessere, cultura e salute (palestre, cinema e teatri);
  • buoni per lo shopping e buoni carburante;
  • corsi di lingua;
  • rimborso delle spese sostenute per l’acquisto di abbonamenti ai servizi di trasporto pubblico locale;
  • somme o rimborsi erogati per l’accesso ai servizi di istruzione (anche asili nido e scuole materne) da parte dei familiari dei dipendenti, compreso il servizio di mensa e i servizi extrascolastici, come centri estivi e invernali;
  • borse di studio per i familiari;
  • somme o prestazioni erogati per l’accesso ai servizi di cura e assistenza agli anziani o ai familiari non autosufficienti;
  • servizi di babysitteraggio.

Modalità di erogazione

Quando un’azienda decide di erogare i flexible benefits ai suoi dipendenti ha a disposizione diverse soluzioni.

La prima prevede che, dopo aver individuato i beni e servizi di maggiore utilità per i propri collaboratori, l’azienda crei un “paniere” o “carrello della spesa”, che comprende tutti i benefit di cui possono usufruire, e metta a loro disposizione un budget prestabilito da investire in uno o più dei benefit offerti.

A questo carrello della spesa possono avere accesso anche i lavoratori che decidono di convertire il premio di produzione in servizi di welfare aziendale.

Un’altra modalità a cui ricorrono molte delle aziende che mettono a disposizione dei dipendenti i flexible benefits è quella di fare ricorso a una vera e propria piattaforma di welfare, come ad esempio Day Welfare.

Solitamente, le piattaforme di welfare consentono di progettare e gestire in maniera ottimale i piani di welfare, anche grazie ad accordi e convenzioni stipulati con aziende che si occupano di servizi alla persona, e con marchi commerciali famosi ed affidabili.

In più, le imprese che si affidano a una piattaforma di welfare, hanno la garanzia di mettere a disposizione dei propri collaboratori servizi sempre aggiornati e in linea con le loro esigenze.

Quali sono i vantaggi?

I flexible benefits sono preziosi strumenti che, se pianificati in maniera corretta, rappresentano una vera e propria opportunità di crescita sia per i lavoratori, sia per le aziende.

I lavoratori traggono beneficio dalla fruizione di questi benefit perché:

  • vedono migliorare la qualità della vita lavorativa e familiare;
  • hanno a disposizione un maggior potere d’acquisto dato anche dal fatto che i flexible benefits sono esenti da tassazione.

Tra i benefici per le aziende ci sono, invece:

  • la possibilità di ottimizzare i costi, dal momento che, anche per le imprese, la tassazione dei flexible benefits è agevolata;
  • l’incremento delle prestazioni dei dipendenti che si traduce in un aumento della produttività (ciò avviene in conseguenza del miglioramento della qualità della vita dei lavoratori);
  • una maggior fidelizzazione dei propri collaboratori.

La tassazione dei flexible benefits

I flexible benefits sono misure che godono di una tassazione agevolata tanto per le imprese, quanto per i dipendenti, sempre che vengano rispettati determinati vincoli.

Secondo quanto stabilito dalla legge, infatti, se i benefit sono erogati alla collettività dei dipendenti, o ad una categoria specifica di lavoratori e non sono convertibili in denaro, essi non concorrono a formare il reddito da lavoro dipendente e sono esclusi anche dagli obblighi contributivi.

Le imprese possono dedurre dalle tasse i costi sostenuti per l’erogazione dei flexible benefits, in maniera totale o parziale, a seconda che la decisione di offrirli ai dipendenti sia frutto di una contrattazione collettiva o di un’iniziativa privata dell’azienda:

  • nel caso la contrattazione collettiva obblighi i datori di lavoro all’erogazione, il loro costo è interamente deducibile dalle tasse;
  • se, invece, è frutto di un’iniziativa privata, la deducibilità è parziale.

La principale normativa di riferimento per la tassazione dei flexible benefits è costituita dal TUIR (Testo Unico delle Imposte sui Redditi), che all’articolo 51 indica quali sono i criteri per la determinazione del reddito di lavoro dipendente e individua le soglie di esenzione e i tassi di esclusione dalla tassazione delle varie tipologie di agevolazioni riconosciute ai lavoratori dipendenti del settore privato.

Le circolari dell’Agenzia delle Entrate n° 28/E del 15/06/2016 e n°5/E del 29/03/2018, invece, forniscono ulteriori chiarimenti in materia.

C’è poi la Legge 208 del 2015, che sancisce un aumento dei servizi che possono essere compresi nella contrattazione, e quindi detassati, e amplia le tipologie di servizi per la famiglia già indicati nel TUIR.

Con la Legge di Bilancio del 2018, infine, anche i servizi di trasporto pubblico entrano a far parte dei fringe benefits a cui possono avere accesso i lavoratori dipendenti.

Differenza tra flexible benefits e fringe benefits

Per comprendere meglio come funziona la tassazione dei flexible benefits, bisogna compiere anche un’importante distinzione tra fringe benefits e flexible benefits.

Se è vero, infatti, che entrambe sono due categorie di beni e servizi concessi ai dipendenti dalle aziende, che spesso si sovrappongono, tra le due tipologie di agevolazione ci sono delle sostanziali differenze, che riguardano soprattutto l’inquadramento giuridico e la tassazione.

FRINGE BENEFITS FLEXIBLE BENEFITS
sono beni e servizi accessori che vengono concessi al lavoratore come forma di remunerazione aggiuntiva rispetto al normale compenso sono beni e servizi che vengono affiancati alla retribuzione, come misure di sostegno al reddito
possono essere inseriti nel contratto individuale del dipendente, anche senza essere previsti dal CCNL di riferimento o dagli accordi sindacali vengono erogati alla totalità dei dipendenti, o ad una categoria omogenea degli stessi e sono previsti dai Contratti Collettivi di categoria, oppure sono frutto di contrattazioni sindacali o di iniziative private dell’azienda
concorrono, in tutto o in parte, a formare il reddito da lavoro dipendente non concorrono alla formazione del reddito da lavoro dipendente, per questo sono totalmente esclusi dall’erogazione di tasse e contributi
possono essere erogati in sostituzione totale o parziale del valore del premio di risultato

Queste sono le principali differenze tra le due categorie di benefit.

Spesso, il datore di lavoro decide di inserire nel paniere dei flexible benefit anche alcuni dei fringe benefit, come ad esempio i buoni spesa. In quel caso, essi sono esclusi dalla formazione della base imponibile solo per le soglie previste dalla legge.

Esempi di tassazione dei flexible benefits

Per capire meglio come funziona l’imposizione fiscale nei riguardi dei flexible benefits, prendiamo ad esempio un paniere di beni e servizi-tipo erogato da un’azienda ai suoi dipendenti.

BENI E SERVIZI EROGATI LIMITI DI ESCLUSIONE DALLA TASSAZIONE
Buoni acquisto e voucher €258,23
Buoni carburante €258,23
Assistenza sanitaria €3.615 all’anno

(il limite decade se il servizio è fornito in sostituzione del premio di risultato in denaro)

Borse di studio per i figli dei dipendenti Nessun limite
Acquisto dei testi scolastici per i figli dei dipendenti Nessun limite
Accesso ai centri estivi e diurni per bambini Nessun limite
Assistenza sanitaria ai parenti non autosufficienti Nessun limite
Rimborso delle spese di acquisto degli abbonamenti ai servizi di trasporto pubblico Nessun limite
Erogazione di servizi di previdenza complementare € 5.164 all’anno

(il limite decade se il servizio è fornito in sostituzione del premio di risultato in denaro)

 

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Dr Giuseppe Scopelliti: un nutrizionista del programma Pausa Sana

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Nutrizionista Pausa Sana

Da oggi PAUSA SANA, il nuovo programma lanciato da Up Day che indirizza ad uno stile di vita sano e ad una corretta alimentazione, avrà l’apporto ed il supporto del dottor Giuseppe Scopelliti, biologo nutrizionista.

Grazie a consigli, ricette e tante informazioni utili per migliorare la qualità della nostra vita, il nostro esperto scelto e garantito da Up Day, ci guiderà settimanalmente alla conquista del nostro benessere e sarà disponibile per appuntamenti con piani alimentari personalizzati.

Trovate di seguito il racconto del suo percorso personale e professionale.

Dr Giuseppe Scopelliti Biologo Nutrizionista

Dr Giuseppe Scopelliti Biologo Nutrizionista

 

Biografia

Sono il Dottor Giuseppe Scopelliti Biologo Nutrizionista classe 1977.

Mi sono appassionato alla nutrizione sana e scientifica perché io per primo sono stato un “paziente” da giovane.

In seguito a problemi di salute in età adolescenziale, ho vissuto in prima persona gli effetti di un aumento del peso che mi collocava quindi tra le persone in sovrappeso. Una volta risolti per il meglio i problemi di carattere strettamente medico, sono rimasti quelli di carattere fisico e nutrizionale.

Questo mi ha spinto ad avvicinarmi con salutare curiosità ed interesse verso il mondo della nutrizione e del benessere rivolgendomi ad un collega.

Questo, unito alla passione per le scienze, mi ha portato ad iscrivermi alla facoltà di Biologia e conseguire la laurea in Scienze Biologiche prima presso l’Università degli Studi di Palermo e successivamente una seconda laurea presso l’Alma Mater di Bologna.

Sono un grande appassionato di fitness tanto da considerare la palestra la mia seconda casa, applico la scienza all’allenamento e alla nutrizione ottenendo risultati migliori, più duraturi e in tempi più brevi rispetto ad un approccio esclusivamente didattico.

Sono anche un grande appassionato di cucina, mi piace creare piatti sani e dietetici ma al tempo stesso semplici e gustosi perché essere a dieta non vuol dire deprimersi ma mangiare in modo sano senza rinunciare al piacere del cibo, parola di Nutrizionista.

Vuoi contattare il dr Scopelliti?

Per informazioni e richieste invia una mail a info@day.it

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A chi spettano i buoni pasto? Ecco cosa sapere

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I buoni pasto sono tra i servizi più apprezzati dai dipendenti, che possono essere erogati ad una platea molto ampia di lavoratori. In questo articolo è possibile scoprire chi rientra nella categoria dei lavoratori a cui spettano i buoni pasto.

Non tutte le tipologie di lavoratori hanno diritto a ricevere i buoni pasto, e ci sono alcuni casi in cui non è possibile erogarli anche a chi ne ha diritto.

Per sapere a chi e quando spettano i buoni pasto, bisogna rifarsi alla normativa vigente e ai contratti di lavoro.

Ecco una piccola guida per capire quali sono i casi in cui si ha diritto a ricevere i buoni pasto, e quelli in cui si è esclusi dall’erogazione di questo benefit aziendale.

Quali lavoratori hanno diritto ai buoni pasto?

Quella della spesa per i pasti fuori casa è una voce che incide sullo stipendio di molti lavoratori dipendenti e sui bilanci di molte famiglie. Per questo, i buoni pasto rappresentano un sostegno al reddito molto apprezzato dalla maggior parte dei lavoratori.

I buoni pasto sono dei veri e propri mezzi di pagamento elettronici o cartacei, il cui valore è compreso tra un minimo di 2 e un massimo di 10 euro, che possono essere erogati dai datori di lavoro ai propri dipendenti in sostituzione del servizio di mensa.

Prima di capire chi abbia o meno diritto a riceverli, bisogna ricordare che i buoni pasto hanno una natura assistenziale, non retributiva, pertanto nessun datore di lavoro è obbligato a erogarli ai propri dipendenti, anche nel caso in cui in azienda non sia presente la mensa.

La legge, in ogni caso, prevede che le imprese possano offrire questo servizio sostitutivo della mensa aziendale ai lavoratori e stabilisce chi abbia diritto a riceverli.

La normativa vigente in materia è costituita dal Decreto 122 del 2017.

L’articolo 4 del decreto, al comma C, stabilisce che hanno diritto ad usufruire del buono pasto coloro che prestano lavoro subordinato, a tempo pieno o parziale, anche quando l’orario di lavoro non prevede una pausa per il pranzo. Anche i professionisti che collaborano a progetto con un’azienda possono avere diritto al buono pasto.

Come vedi, per la legge, ha diritto ai buoni pasto una platea piuttosto ampia di lavoratori. Tuttavia, per essere sicuri di rientrare tra i fortunati che possono usufruire di questo benefit aziendale, non basta affidarsi a tale normativa.

Anche se la legislazione vigente prevede che possano essere erogati, nessuna azienda è obbligata a fornire i buoni pasto ai propri dipendenti.

A far fede è anche il contratto collettivo nazionale di ciascuna categoria: se al suo interno è prevista l’erogazione dei buoni pasto ai dipendenti delle imprese che ne fanno parte, allora l’impresa è obbligata ad erogarli.

Anche il contratto stipulato direttamente tra l’azienda e i propri dipendenti può prevedere l’erogazione di buoni pasto.

Riepilogando, hanno diritto a ricevere i buoni pasto tutti i lavoratori che prestino lavoro subordinato o a progetto, anche quando non è prevista la pausa per il pranzo, purché tale benefit sia specificatamente compreso nel CCNL di riferimento per il loro settore o negli accordi stipulati con l’azienda.

Per quanto riguarda il loro utilizzo, a stabilirne le modalità di fruizione è prima di tutto il decreto 122, che stabilisce che:

  • i buoni pasto sono nominativi e il titolare non li può cedere ad altri, neanche ai propri familiari;
  • si possono cumulare fino ad un massimo di 8 buoni pasto, che si possono spendere anche tutti in una volta;
  • ogni buono pasto deve essere speso per il suo intero valore e non dà diritto al resto (se, ad esempio, spendi 10 euro per il pasto e paghi con un buono pasto di importo maggiore, non hai diritto a ricevere i soldi del resto);
  • con i buoni pasto si possono acquistare pasti già pronti e prodotti alimentari negli esercizi convenzionati con la società emettitrice.

I buoni pasto spettano a chi lavora part-time?

La risposta a questa domanda è sì, e la troviamo nello stesso articolo 4 del decreto 122 del 2017 che abbiamo citato nel paragrafo precedente. Che dice chiaramente che i buoni pasto spettano anche a chi presta lavoro subordinato a tempo parziale.

Non solo qualora l’orario di lavoro del dipendente comprenda anche il momento del pranzo o della cena, ma anche qualora non sia prevista alcuna pausa pranzo.

In passato, il lavoratore part-time aveva diritto a ricevere i buoni pasto solo se il suo orario di lavoro copriva la fascia oraria di un pasto (pranzo o cena) o la distanza tra la sua casa e il lavoro gli rendeva impossibile consumare il pasto a casa propria.

Con il decreto 122 del 2017 le regole sono cambiate e adesso i lavoratori part-time, il cui contratto collettivo nazionale o il contratto di lavoro stipulato con l’azienda prevedano l’erogazione dei buoni pasto, hanno diritto a riceverli.

In quale misura, sono gli stessi accordi citati sopra a stabilirlo.

Alcune aziende decidono di erogare buoni di pari importo sia ai lavoratori full-time, sia ai part-time. Altre, invece, forniscono ai propri dipendenti part-time buoni di importo inferiore rispetto a quelli forniti ai dipendenti a tempo pieno.

Limitazioni

Esistono poi dei casi in cui, sebbene l’erogazione dei buoni pasto sia prevista dal CCNL e dagli accordi aziendali, il lavoratore potrebbe non avere diritto a godere di questa agevolazione.

Due dei casi in cui i servizi sostitutivi di mensa, come i buoni pasto, non sono previsti, sono:

La legge, infatti, stabilisce che ai lavoratori dipendenti spetta un buono pasto per ogni giornata lavorativa, in sostituzione del servizio mensa. Quando il dipendente non lavori, perciò, non ha diritto all’erogazione dei buoni pasto.

Nel caso in cui l’azienda decidesse di corrisponderli comunque al lavoratore, essi sarebbero interamente soggetti a tassazione.

Un caso diverso è invece rappresentato dallo smart working. Da quello che si evince dalla normativa vigente, e in particolare dalla legge n° 81 del 22 maggio 2017, anche i lavoratori che operano in via telematica avrebbero diritto a usufruire di questo benefit.

All’articolo 20 di tale norma, infatti, viene chiaramente specificato che chi opera in modalità di lavoro agile ha diritto a un trattamento economico e normativo pari a quello che ricevono i dipendenti che si recano ogni giorno in azienda.

Questo, però, non basta a garantire a chi lavora da remoto il diritto a ricevere i buoni pasto. Perché ciò sia possibile, il contratto stipulato con l’azienda e l’accordo individuale per lo smart working devono prevedere la possibilità di erogare i buoni pasto anche a chi presta il proprio lavoro da remoto.

Cos’è l’indennità sostitutiva di mensa?

L’indennità sostitutiva di mensa è un benefit aziendale simile ai buoni pasto: si tratta, infatti, di un contributo in denaro che viene corrisposto al dipendente in busta paga, e ha un importo pari a quello dei buoni pasto.

L’indennità sostitutiva di mensa può essere erogata sia ai lavoratori part – time, sia ai lavoratori full – time, proprio come il buono pasto.

Le due soluzioni, tuttavia, non sono complementari e presentano sostanziali differenze, soprattutto per quanto riguarda la tassazione.

Se, infatti, il buono pasto non concorre alla formazione del reddito se non per l’importo eccedente i 4 euro per il buono cartaceo e gli 8 euro per quello elettronico, l’indennità sostitutiva di mensa concorre per il suo intero importo alla formazione del reddito ed è quindi soggetta a tassazione. Anche alla tassazione contributiva.

Gli unici casi in cui l’indennità sostitutiva di mensa non concorre alla formazione del reddito sono rappresentati dall’erogazione della stessa a chi lavora:

  • nei cantieri edili;
  • in strutture lavorative che hanno carattere temporaneo;
  • in unità produttive che sono situate in zone dove non sono presenti servizi di ristorazione.

Va da sé, quindi, che il buono pasto rappresenta una soluzione più vantaggiosa per il lavoratore, rispetto all’indennità sostitutiva di mensa, perché esso è esente da tassazione o è comunque sottoposto ad una forma di tassazione estremamente ridotta.

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Fringe benefits: cosa sono e come funzionano

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Scopri cosa sono i Fringe Benefits

In questi ultimi anni le aziende si sono fatte sempre più attente ai bisogni e al benessere dei propri dipendenti, attivando delle politiche di welfare aziendale che comprendono anche l’erogazione dei fringe benefits a lavoratori e professionisti. Ma cosa sono, di preciso, i fringe benefits e come funzionano? Te lo spieghiamo in questo articolo.

I fringe benefits sono beni e servizi erogati dalle aziende ai dipendenti su base volontaria, nell’ambito di politiche di welfare aziendale volte a migliorare la qualità della vita e la produttività dei collaboratori. Scopri in cosa consistono esattamente questi benefit e come funzionano.

Cosa significa fringe benefits?

Fringe benefits è un termine di origine inglese che si può tradurre in italiano con le parole “benefici accessori”.
Si usa per indicare tutta una serie di benefici in natura che le aziende concedono ai propri dipendenti nell’attuazione delle sempre più diffuse e articolate politiche di welfare aziendale.

Tali vantaggi comprendono beni e servizi di vario genere, che possono essere erogati a tutti i dipendenti oppure a specifiche categorie di lavoratori.

I fringe benefits sono costituiti sia da strumenti e agevolazioni che migliorano e facilitano la vita lavorativa del dipendente, sia da benefici di cui i collaboratori possono usufruire nella loro sfera privata, durante il tempo libero, per perseguire i propri interessi, e a cui possono avere accesso anche le famiglie.

Tra i fringe benefits più apprezzati e diffusi tra i dipendenti delle aziende italiane ci sono:

  • servizio di mensa aziendale;
  • buoni pasto e buoni regalo;
  • auto aziendale;
  • telefono cellulare, computer e tablet aziendali;
  • borse di studio per incentivare l’accesso all’istruzione dei figli dei dipendenti;
  • corsi di aggiornamento professionale;
  • case in locazione;
  • prestiti agevolati;
  • sconti e convenzioni con negozi, palestre, centri benessere, ecc.;
  • polizze di previdenza complementare;
  • rimborsi per spese sostenute dal dipendente;
  • stock options.

Come funziona il fringe benefit?

Le modalità di erogazione e fruizione dei beni e servizi che vengono considerati fringe benefits cambiano a seconda del tipo di bene o servizio erogato e sono sostanzialmente 3:

  • uso aziendale. Il bene o servizio erogato al dipendente dall’azienda viene utilizzato dal lavoratore solo in ambito lavorativo;
  • uso promiscuo. Il dipendente usa il benefit ricevuto sia per scopi lavorativi, sia per scopi personali;
  • uso personale. Il lavoratore può usare l’agevolazione ricevuta dall’azienda esclusivamente per fini personali.

Vediamo brevemente come funziona il godimento di alcuni dei fringe benefit più diffusi:

Servizio di mensa aziendale

Le aziende che ne hanno la possibilità mettono a disposizione dei lavoratori un servizio di mensa aziendale dove è possibile pranzare o cenare senza uscire dall’azienda, pagando per il pasto un prezzo agevolato.

In alcuni casi sono offerti al dipendente sia il servizio di mensa aziendale, sia i buoni pasto.

Buoni pasto

I buoni pasto sono uno dei fringe benefit più apprezzati dai lavoratori. Solitamente vengono erogati a tutti i dipendenti di un’azienda. Possono avere un valore compreso tra i 2 e i 15 euro e vengono utilizzati come servizio sostitutivo di mensa.

Non possono essere convertiti in denaro o utilizzati da persone diverse dal titolare, che può usarli per acquistare pasti già pronti o prodotti alimentari negli esercizi convenzionati.

 Veicoli aziendali

La macchina aziendale è un benefit che di solito viene concesso solo a determinate categorie di dipendenti. Nella maggior parte dei casi, il dipendente può fare, della vettura, un uso aziendale o promiscuo, cioè usarla sia per lavoro, sia per fini personali. Più raramente l’auto viene concessa al lavoratore per uso personale.

Telefono, computer o tablet aziendale

I lavoratori che si vedono erogare più spesso questo tipo di benefit sono coloro che lavorano anche in smart working, o che hanno necessità di utilizzare tali strumenti per portare a termine i propri compiti.

Generalmente, questo tipo di fringe benefit viene erogato per l’esclusivo uso aziendale e, talvolta, il dipendente ha la possibilità di farne anche un uso promiscuo.

Voucher e buoni regalo

Si tratta di buoni che possono essere impiegati dal lavoratore nel tempo libero per fare acquisti nei negozi fisici o negli e-commerce. In questa categoria rientrano anche i buoni carburante.

Come i buoni pasto, anche i voucher e i buoni regalo sono nominali e possono essere utilizzati solo dalla persona a cui vengono riconosciuti.

Immobili in locazione, uso o comodato

Ci sono diverse aziende che decidono di offrire ai collaboratori, specie a quelli di livello più alto la possibilità di alloggiare in immobili di loro proprietà. Gli alloggi possono essere offerti ai dipendenti in locazione, uso o comodato.

Stock options

Sono pacchetti di azioni che vengono offerti a un prezzo agevolato per periodi di tempo più o meno lunghi ai dipendenti di molte imprese quotate in borsa.

Le aziende ne concedono l’acquisto ai dipendenti per renderli più coinvolti nella gestione diretta dell’impresa e più motivati a far funzionare le cose.

Come si determina il valore dei fringe benefits?

Prima di vedere come si determina il valore dei fringe benefit, rispondiamo subito alla domanda sul perché sia importante determinarlo, che sicuramente ti sarai posto leggendo il titolo del paragrafo.

Determinare il valore dei benefici aziendali offerti ai collaboratori dalle aziende è importante perché molto spesso questi beni e servizi vengono considerati dal fisco come una forma di retribuzione aggiuntiva rispetto alla retribuzione principale, pertanto possono concorrere alla formazione del reddito tassabile sia dell’azienda, sia del lavoratore dipendente, che se li ritroverà in busta paga.

Ecco allora che stabilirne il corretto valore è fondamentale per ottenere un trattamento fiscale equo.

Valore normale

Per determinare il valore della maggior parte dei fringe benefit si tiene in conto il cosiddetto valore normale che, secondo l’articolo 9 del TUIR, è rappresentato dal prezzo o corrispettivo praticato in media per i beni o servizi dello stesso tipo, nel tempo e nel luogo in cui tali beni e servizi sono acquistati, o, comunque, nel periodo di tempo più prossimo.

Valore convenzionale

Per determinare il valore di alcuni fringe benefits, come l’auto aziendale o le case date in locazione, invece, non si prende in considerazione il valore normale del bene, ma una somma costituita dal cosiddetto valore convenzionale.

Per le automobili e i ciclomotori, tale valore è rappresentato da un costo chilometrico fissato dall’ACI, per i fabbricati, invece, è rappresentato dalla differenza tra la rendita catastale e l’importo corrisposto per il godimento di tale bene.

Altro caso in cui si fa valere il valore convenzionale del benefit per determinarne il valore ai fini retributivi è l’erogazione di finanziamenti a tasso ridotto.

Perché riconoscere i fringe benefits al dipendente?

I fringe benefits sono benefici accessori che, in passato, molte aziende vedevano solo come costi aggiuntivi da evitare il più possibile, oppure come vantaggi a cui avevano diritto solo i dipendenti delle grandi aziende.  Il massimo che veniva concesso ai lavoratori era una gratifica in busta paga, più o meno generosa, se il bilancio di quell’anno mostrava un segno positivo.

Oggi, invece, sempre più imprese, anche di medie e piccole dimensioni, sono attente alle esigenze dei propri collaboratori e si sono rese conto del valore aggiunto che comporta la concessione di questo tipo di agevolazioni.

Questo perché ci si è accorti che dei dipendenti appagati e soddisfatti sono più produttivi e rappresentano quindi un vantaggio per l’azienda, che vedrà così aumentare il proprio potenziale.

Riconoscere i fringe benefits al dipendente significa investire nel capitale umano della propria impresa, e questo è importante perché:

  • i dipendenti che si sentono più gratificati e meno stressati sono più produttivi;
  • si crea un rapporto di fiducia più stretto tra l’impresa e i suoi collaboratori;
  • si riduce il turnover;
  • la reputazione aziendale subisce un miglioramento visibile;
  • le persone talentuose in cerca di lavoro vengono invogliate ad entrare a lavorare in azienda.

Inserire i fringe benefits nel proprio piano di welfare aziendale è conveniente per le aziende anche da un punto di vista fiscale, perché ad essi è riservata una tassazione agevolata.

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Dr Giuseppe Scopelliti: un nutrizionista del programma Pausa Sana

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Nutrizionista Pausa Sana

Da oggi PAUSA SANA, il nuovo programma lanciato da Up Day che indirizza ad uno stile di vita sano e ad una corretta alimentazione, avrà l’apporto ed il supporto del dottor Giuseppe Scopelliti, biologo nutrizionista.

Grazie a consigli, ricette e tante informazioni utili per migliorare la qualità della nostra vita, il nostro esperto scelto e garantito da Up Day, ci guiderà settimanalmente alla conquista del nostro benessere e sarà disponibile per appuntamenti con piani alimentari personalizzati.

Trovate di seguito il racconto del suo percorso personale e professionale.

Dr Giuseppe Scopelliti Biologo Nutrizionista

Dr Giuseppe Scopelliti Biologo Nutrizionista

 

Biografia

Sono il Dottor Giuseppe Scopelliti Biologo Nutrizionista classe 1977.

Mi sono appassionato alla nutrizione sana e scientifica perché io per primo sono stato un “paziente” da giovane.

In seguito a problemi di salute in età adolescenziale, ho vissuto in prima persona gli effetti di un aumento del peso che mi collocava quindi tra le persone in sovrappeso. Una volta risolti per il meglio i problemi di carattere strettamente medico, sono rimasti quelli di carattere fisico e nutrizionale.

Questo mi ha spinto ad avvicinarmi con salutare curiosità ed interesse verso il mondo della nutrizione e del benessere rivolgendomi ad un collega.

Questo, unito alla passione per le scienze, mi ha portato ad iscrivermi alla facoltà di Biologia e conseguire la laurea in Scienze Biologiche prima presso l’Università degli Studi di Palermo e successivamente una seconda laurea presso l’Alma Mater di Bologna.

Sono un grande appassionato di fitness tanto da considerare la palestra la mia seconda casa, applico la scienza all’allenamento e alla nutrizione ottenendo risultati migliori, più duraturi e in tempi più brevi rispetto ad un approccio esclusivamente didattico.

Sono anche un grande appassionato di cucina, mi piace creare piatti sani e dietetici ma al tempo stesso semplici e gustosi perché essere a dieta non vuol dire deprimersi ma mangiare in modo sano senza rinunciare al piacere del cibo, parola di Nutrizionista.

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Rubrica Pausa Sana: la connessione cibo-salute

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La connessione cibo-salute

Nella rubrica Pausa Sana oggi parliamo di salute e benessere grazie al contributo del dottor Giuseppe Scopelliti biologo nutrizionista.

La corretta nutrizione è essenziale non solo per mantenerci in vita ma per avere una vita sana e salutare.

Abbiamo tutti sentito il vecchio detto “tu sei quello che mangi” del filosofo tedesco Ludwig Feuerbach, detto antico ma assolutamente attuale e vero. Seguire una dieta sana, ricca di vitamine e minerali si rifletterà sul benessere del nostro corpo, facendoci sentire in forma, pieni di energie e benessere in generale.

Allo stesso modo le persone che limitano la loro dieta al cibo spazzatura, subiranno senza dubbio le conseguenze del non dare al proprio organismo ciò di cui ha bisogno per star bene. Il risultato non è solo stanchezza e bassi livelli di energia ma anche una salute scadente. Comprendere questa diretta connessione tra la tua salute e la tua dieta può spingerti a fare scelte dietetiche più sane.

Di cosa ha bisogno il nostro organismo

Spesso diamo per scontato il fatto che il cibo sia essenziale, ma di fatto abbiamo  bisogno di sostanze nutritive. Secoli fa quando i marinai attraversavano l’oceano per mesi senza una corretta alimentazione, finivano col contrarre lo scorbuto a causa della mancanza di vitamina C. La vitamina C insieme ad altre vitamine e minerali, sono necessarie affinchè il nostro organismo si mantenga sano e funzionale.

Il cibo ci dà il carburante per pensare e l’energia per muovere i muscoli. I micronutrienti, le vitamine e i minerali permettono al nostro corpo di funzionare: abbiamo bisogno di cibo non solo per mantenerci in salute ma anche per sentirci meglio.

L’unico modo in cui il nostro corpo otterrà le molte sostanze nutrienti necessarie per mantenersi in uno stato di buona salute è mangiare una grande varietà di alimenti sani.

Le linee guida per la nostra salute

La piramide alimentare e le raccomandazioni alimentari quotidiane sono state create a seguito di accurate ricerche e continuano ad essere costantemente aggiornate ogni qual volta emergono informazioni aggiuntive sul ruolo della nutrizione sulla salute.

Il cibo nasce come una necessità per restare in vita, ma diventa poi la chiave per consentire al corpo di funzionare al meglio. La ricerca dimostra che un’alimentazione corretta migliora la salute e che assumere sufficienti vitamine e minerali può anche ridurre il rischio di malattie.

Dieta inadeguata, salute scadente

Diversi alimenti hanno un grande impatto sulla salute del nostro cuore. La ricerca ha da tempo dimostrato che frutta e verdura e una dieta ricca di cereali integrali e povera di grassi saturi, può aiutare a proteggerci da malattie cardiache e dalla pressione alta, mentre una dieta ad alto contenuto di grassi saturi e trans, senza frutta e verdure sufficienti può effettivamente provocare quelle determinate malattie.

Anche piccole carenze alimentari possono avere un grande impatto negativo sulla nostra salute. Il problema sanitario più comune dovuto alla mancanza di nutrienti è la carenza di ferro. Le donne e le ragazze in età fertile hanno bisogno di diete ricche di ferro per sostituire quello che perdono ogni mese durante il ciclo. Il ferro è anche un nutriente essenziale per i neonati, i bambini e gli adolescenti in crescita.

Un altro esempio è il calcio, necessario per mantenere le ossa forti e sane. Senza di esso il corpo può sviluppare l’osteoporosi, una patologia caratterizzata da ossa deboli e fragili.

Avere una dieta varia e bilanciata permetterà di assimilare tutte le sostanze nutritive di cui abbiamo bisogno. Teniamo bene a mente che il nostro corpo utilizza tutto ciò ingeriamo come alleato di benessere e viceversa.

Puoi trovare l’articolo originale qui https://studionewlife.it/la-connessione-tra-cibo-e-salute/ scritto dal dott. Giuseppe Scopelliti Biologo Nutrizionista per maggiori informazioni o richiesta di contatti scrivi a info@day.it

 

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Nuova app “Buoni Up Day” e nuovo portale

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Nuova app “Buoni Up Day” e nuovo portale

Dal 15 luglio 2020 la app “ UP Day tronic” e il portale di gestione del buono pasto elettronico cede il passo alla nuova versione “Buoni Up Day “già attiva, pensata e studiata per migliorarne la fruizione da parte degli utilizzatori.

 

Buoni Up Day è la nuova applicazione per il mobile payment che permette a utilizzatori, clienti e partner di accedere a tutti i servizi in modo semplice e sicuro.

L’app, disponibile negli store in versione iOS e Android è utilizzabile in tutta Italia e costituisce la versione 2.0 della precedente.

Ha il duplice obiettivo di rendere più pratica la gestione da parte delle aziende e più immediata la fruizione per gli utilizzatori che godono di una customer experience arricchita: contenuti e struttura di navigazione sono infatti maggiormente pratici e user friendly, rendendo accessibili tutti i servizi offerti dall’azienda grazie a un semplice tocco sullo schermo dello smartphone.

Si spegne la app “UP Day Tronic”

A partire dal 15 luglio 2020 non sarà più possibile accedere alla app “UP Day tronic” e al portale di gestione del buono pasto elettronico utilizzati fino a questo momento.

Per accedere quindi alla App e al portale sarà necessario effettuare una nuova registrazione, associare la propria card e scoprire tutte le funzioni per monitorare e gestire i propri buoni in modo semplice e sicuro.

Scarica la nuova app o accedi al portale

E’ possibile scaricare la app dallo store “Buoni Up Day” e per chi preferisce navigare da pc può accedere direttamente al portale dedicato agli utilizzatori.

Sul sito day.it alla sezione login basterà selezionare “Nuovo accesso buono pasto” per l’utilizzatore.

Con la versione desktop sarà ancora più semplice avere tutto sotto controllo.

Tutte le novità

Tante le novità facilmente fruibili nella nuova app: con la funzione GESTISCI PRODOTTO puoi associare il prodotto Up Day utilizzato, per un’esperienza di navigazione personalizzata.

In MAPPA ci sono tutti i locali che accettano i buoni e i filtri aiutano a scoprire le specialità gastronomiche, le modalità di pagamento e i servizi che i nostri partner offrono.

Inoltre il filtro PAUSA SANA indirizza gli utilizzatori ad un sano stile di vita e ad un’equilibrata alimentazione e promuove gli esercenti che propongono un’offerta gastronomica di qualità.

Per ogni locale si possono visualizzare recensioni, foto e info utili fornite da Google.

E’ possibile pagare comodamente dal proprio smartphone in pochi click scegliendo di utilizzare il POS o con QR Code.

D’ora in avanti pagare la pausa pranzo e monitorare l’andamento dei buoni pasto, sarà facile, immediato e sicuro.

 

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Premi produttività e welfare aziendale

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Premi produttività e welfare aziendale

Quando un’azienda, durante l’anno, ottiene performance migliori dell’anno precedente – aumentando i guadagni o diventando più efficiente ad esempio – può riconoscere ai dipendenti una somma in denaro a titolo di gratifica. Scopri cosa sono i premi produttività, a chi spettano e come vengono tassati.

 

I premi di produttività sono compensi che il datore di lavoro può erogare al dipendente, in aggiunta allo stipendio, come riconoscimento per i risultati ottenuti. Ecco tutto quello che c’è da sapere sui premi produttività e sulla tassazione agevolata.

Cos’è il premio produttività

Il premio di produttività è un riconoscimento economico aggiuntivo rispetto alla retribuzione di base, che il datore di lavoro corrisponde ai propri dipendenti per aver contribuito al conseguimento di determinati obiettivi, stabiliti in sede di contrattazione.

I premi di risultato sono importi legati a un miglioramento delle performance dell’azienda, riscontrabile negli incrementi misurabili di produttiva, redditività, qualità efficienza e innovazione. Possono quindi venire corrisposti ai lavoratori una volta all’anno, in sede di chiusura del bilancio aziendale, oppure dalle due alle quattro volte l’anno, se sono legati alla presentazione dei bilanci intermedi.

Il dipendente che ha diritto al premio di produttività, può scegliere tra due diverse modalità di fruizione dello stesso.

Il lavoratore, infatti, può decidere di ricevere un premio in denaro, soggetto a tassazione agevolata per importi fino a 3.000 euro (se il reddito del lavoratore non supera gli 80.000 euro), oppure può decidere di convertire la somma che gli spetta in voucher da utilizzare per ottenere servizi di welfare aziendale.

Con i voucher erogati in sostituzione del premio di produttività il dipendente può accedere a un paniere di beni e servizi predisposto dall’azienda, che può comprendere:

  • badanti;
  • buoni spesa;
  • assistenza domiciliare per familiari anziani e disabili;
  • baby-sitter;
  • asilo nido;
  • borse di studio per i familiari;
  • servizi di trasporto;
  • rette per centri estivi e invernali;
  • acquisto di libri scolastici;
  • servizi di mensa;
  • servizi di assistenza sanitaria integrativa;
  • polizze di previdenza complementare;
  • investimenti in azioni.

Il datore di lavoro può anche decidere di erogare il premio produttività sotto forma di una partecipazione agli utili dell’azienda.

 

Vantaggi e benefici del premio produttività

I premi di produttività sono considerati strumenti fondamentali da tutte le imprese che puntano sul welfare aziendale come mezzo per raggiungere livelli di efficienza e innovazione più elevati.

L’erogazione del premio di produttività può risultare molto vantaggiosa sia per il datore di lavoro, sia per il dipendente: il primo si ritroverà ad avere collaboratori ancor più motivati nel raggiungere gli obiettivi prefissati, e potrà assistere a un incremento della produttività, del prestigio del proprio marchio e degli utili.
Il secondo non solo vedrà premiati i suoi sforzi e si sentirà quindi gratificato e motivato a fare sempre meglio, ma sarà anche più felice di ricevere il bonus sapendo che è soggetto a tassazione ridotta.

Per non parlare poi del fatto che, nel caso decidesse di convertirlo in beni e servizi, questi risulterebbero totalmente esenti dalle tasse fino a un importo massimo di 3.000 euro.

Premio produttività: a chi spetta?

Il premio di produttività spetta a tutti i lavoratori che prestano lavoro subordinato a tempo determinato o indeterminato in aziende del settore privato, purché tale agevolazione sia prevista dal CCNL, dal contratto di 2° livello aziendale e territoriale o dagli accordi sindacali.

Per poter essere considerato a tutti gli effetti un premio di risultato e godere, perciò, delle agevolazioni fiscali previste dalla legge, il premio di risultato deve:

  • essere legato a incrementi della produttività, redditività, qualità, efficienza o innovazione;
  • essere connesso a obiettivi misurabili secondo i criteri di misurazione fissati in fase di sottoscrizione del contratto;
  • venire erogato alla totalità dei dipendenti, o a un determinato settore produttivo o categoria, e non a un singolo lavoratore.

L’ammontare del premio di produttività non è mai fisso, ma varia in base all’incremento dei parametri a cui l’azienda ha deciso di legarli.

Il datore di lavoro, inoltre, non è obbligato a erogare la stessa somma a tutti i dipendenti, ma può decidere di corrispondere premi di importi diversi a seconda che i lavoratori appartengano o meno a un determinato reparto produttivo, basandosi sulla retribuzione annua lorda o, ancora, sui giorni di presenza e sulle ore lavorate.

Nel caso in cui le performance dei parametri a cui è legata l’assegnazione del premio di produttività risultino inferiori alle soglie prefissate, secondo la normativa vigente, l’azienda non ha la facoltà di erogare il premio produttività soggetto a tassazione agevolata.

 

Differenza tra premi produttività e i bonus dipendenti

Non è una novità questa abitudine di molte aziende di corrispondere ai lavoratori una gratifica in aggiunta al compenso previsto dal contratto quando il bilancio è in attivo o quando un lavoratore è stato particolarmente efficiente nel suo lavoro.

Ogni datore di lavoro, infatti, ha diritto di offrire ai propri dipendenti gli incentivi che preferisce. Tuttavia, non tutti i bonus erogati in busta paga hanno le stesse caratteristiche.

Mentre i “bonus dipendenti” possono essere erogati in qualsiasi momento, a uno o più dipendenti, senza vincoli particolari, il premio di produttività, per sua natura, deve essere erogato secondo regole e vincoli precisi.

Le differenze maggiori tra l’uno e l’altro tipo di bonus, però, risiedono nella contrattazione e nella tassazione.

I bonus per i dipendenti non devono per forza essere previsti dai contratti collettivi nazionali, possono essere inseriti nel contratto di lavoro individuale e vengono assoggettati all’aliquota IRPEF prevista per i redditi da lavoro dipendente.

Il premio di produttività, invece, deve essere necessariamente previsto nella contrattazione collettiva e negli accordi sindacali di categoria ed è soggetto a una tassazione agevolata.

 

Tassazione del premio di produttività

Adesso che abbiamo visto cos’è il premio di produttività e chi ha diritto a riceverlo, parliamo delle normative che ne regolano la tassazione.

A partire dal 2016, la tassazione agevolata dei premi di risultato è diventata strutturale. Ciò significa che i premi di risultato erogati secondo le modalità previste dalla legge non sono soggetti alle aliquote progressive IRPEF, ma ad un’aliquota agevolata del 10%, in sostituzione di tutte le altre.

La normativa di riferimento per quanto riguarda il premio di produttività è rappresentata dalla Legge di Stabilità del 2016, e dalle Leggi di Bilancio 2017 e 2018 ed è sintetizzata nella circolare dell’Agenzia delle Entrate n° 5 del 2018.

Tale normativa specifica non solo i criteri secondo cui le aziende possono erogare premi di risultato detassabili, ma anche quali tipologie di lavoratori hanno accesso al regime di detassazione del premio di risultato.

Secondo la legge, hanno diritto a tale agevolazione i lavoratori del solo settore privato che nell’anno d’imposta abbiano conseguito redditi da lavoro dipendente per importi non superiori a 80.000 euro.

L’importo massimo del premio produttività assoggettabile alla tassazione agevolata, invece, è di 3.000 euro. Solo nel caso in cui il premio di produzione venga erogato ai dipendenti di aziende che coinvolgono i collaboratori nell’organizzazione del lavoro, tale soglia è innalzata fino a 4.000 euro (solo per i rapporti di lavoro già in essere prima del 24 aprile 2017).

Nel caso in cui un lavoratore percepisca premi di risultato da più datori di lavoro, il limite della somma soggetta a tassazione agevolata rimane comunque di 3.000.

Facciamo un esempio pratico di tassazione del premio di produttività ai fini IRPEF, prevedendo che il lavoratore abbia percepito, nell’anno di imposta, un premio di risultato lordo del valore di 1.800 euro.

Grazie alla tassazione agevolata al 10%, l’importo netto che viene corrisposto in busta paga è pari a 1.620 euro.

Senza tassazione agevolata, tale importo sarebbe soggetto a un’aliquota variabile tra il 23% e il 43%, a seconda del reddito imponibile.

Secondo le disposizioni di legge, come abbiamo visto, il lavoratore ha la possibilità di convertire – in tutto o in parte – l’importo del premio di produzione in servizi di welfare aziendale. In questo caso, il valore del bene o servizio erogato non concorre alla formazione del reddito imponibile, ed è totalmente esente da tassazione.

Facciamo un esempio pratico. Un lavoratore percepisce un premio di produttività di 1.200 euro e decide di usufruire di un’agevolazione per il trasporto ferroviario. Tale agevolazione viene quantificata in maniera forfettaria nella cifra di 200 euro.

La base imponibile per il calcolo dell’imposta sostitutiva al 10% non sarà più di 1.200 euro: da essa verrà escluso il valore del servizio di trasporto ferroviario, che è di 200 euro.

L’imposta sostitutiva verrà perciò applicata solo sulla somma di 1.000 euro. Somma che il lavoratore può decidere di convertire in ulteriori benefit.

L’Agenzia delle Entrate ha inoltre chiarito che i servizi di welfare aziendale vengono considerati percepiti dal dipendente, e quindi esclusi dal reddito imponibile, nel momento in cui il lavoratore compie la scelta di convertire in benefit il suo premio di risultato, anche se tali benefit vengono erogati, o goduti, in un momento successivo.

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I benefici della dieta mediterranea

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Dieta mediterranea

La dieta mediterranea è una dieta sana a base di ricette e sapori tipici della cucina dei paesi del mediterraneo.

Se sei alla ricerca di un piano alimentare salutare per l’organismo, la dieta mediterranea è sicuramente l’ideale per te.

Questo approccio nutrizionale comprende i principi fondamentali di una sana alimentazione, con l’aggiunta di un gustoso olio d’oliva e, saltuariamente di un bicchiere di buon vino rosso.

La maggior parte delle diete bilanciate di questo tipo includono frutta, verdura, pesce e cereali integrali e limitano i grassi saturi.

Quali sono i benefici della dieta mediterranea

La ricerca ha dimostrato che la tradizionale dieta mediterranea riduce il rischio di malattie cardiache. Questa dieta è stata associata a bassi livelli di colesterolo “cattivo” (LDL) che, se in eccesso, si deposita nelle arterie.

Uno studio epidemiologico su più di 1,5 milioni di adulti sani ha dimostrato che la dieta mediterranea è associata ad un ridotto rischio di malattie cardiovascolari e mortalità in generale. 

Inoltre le donne che seguono una dieta mediterranea ricca di olio extravergine d’oliva e frutta secca possono avere una riduzione del rischio di sviluppare il cancro al seno. Per queste ed altre ragioni, le principali organizzazioni scientifiche mondiali incoraggiano gli adulti sani ad adottare uno stile alimentare mediterraneo per la prevenzione delle principali malattie croniche.

I componenti base della dieta mediterranea

  • Mangiare alimenti prevalentemente vegetali come frutta e verdura, cereali integrali, legumi e frutta secca a guscio (mandorle, noci ecc)
  • Sostituire il burro con grassi sani come l’olio extravergine d’oliva
  • Utilizzare erbe e spezie al posto del sale per insaporire i cibi
  • Limitare la carne rossa
  • Mangiare pesce almeno due volte a settimana
  • Svolgere regolare attività fisica

Cosa comprende questa dieta

La dieta mediterranea comprende tradizionalmente frutta, verdura, pasta e riso. Ad esempio in Grecia si mangia poca carne rossa e in media nove porzioni al giorno di frutta e verdura ricchi di antiossidanti.

Il grano nelle regioni del Mediterraneo è in genere integrale e il pane è una parte importante della dieta.

La frutta a guscio è un altro costituente di una dieta sana. Ad esempio le noci sono ricche di grassi (circa l’80% delle loro calorie provengono da essi) per la maggior parte insaturi. Essendo le noci ricche di calorie non si dovrebbe eccedere nel loro consumo, quindi non più di una manciata al giorno.

I grassi quelli buoni

Uno dei principi base della dieta mediterranea è la scelta dei grassi giusti da mangiare. Sconsiglia invece il consumo di grassi saturi e di oli idrogenati (grassi trans) i quali contribuiscono allo sviluppo di malattie cardiache.

L’olio extravergine di oliva è quindi la fonte primaria di grassi insaturi, un tipo di grasso che contribuisce a ridurre i livelli di colesterolo LDL quando viene utilizzato al posto di grassi saturi o trans. Inoltre contiene anche alte concentrazioni di composti vegetali protettivi con effetti antiossidanti.

Alcuni tipi di frutta secca e i semi oleosi contengono grassi monoinsaturi e polinsaturi come l’acido linolenico (un tipo di acido grasso omega-3). Gli acidi grassi Omega-3 aiutano a ridurre i trigliceridi, riducono la formazione di coaguli nel sangue, sono associati ad una riduzione di problemi cardiaci, migliorano la salute dei vasi sanguigni e aiutano a regolare la pressione.

Pesce grasso come lo sgombro, la trota di lago, le aringhe, le sardine, il tonno bianco e il salmone sono fonti ricche di acidi grassi omega-3.

Per concludere

Chi introduce questo stile alimentare nella propria quotidianità, difficilmente lo abbandona per fare altre tipologie di scelte. Ecco alcuni consigli per iniziare:

  • Mangia frutta e verdura. L’abbondanza e la varietà di cibi vegetali dovrebbero costituire la maggior parte dei pasti. Impegnati a mangiare almeno 9 porzioni al giorno tra frutta e verdura. Passa a pane, pasta e cereali integrali.
  • La frutta secca. Tieni sempre a portata di mano mandorle, arachidi, pistacchi e noci per uno spuntino veloce.
  • Riduci o elimina il burro. Sostituiscilo con l’olio extravergine d’oliva.
  • Rendi tutto più speziato. Erbe e spezie insaporiscono il cibo e sono anche ricche di sostanze benefiche per la salute. Utilizzale per ridurre il consumo di sale.
  • Mangia pesce almeno due volte alla settimana. Fresco o anche surgelato: merluzzo, tonno, salmone, trota, sgombri e aringhe sono scelte sane e gustose. Il pesce alla griglia ha un buon sapore ed è facilissimo da preparare. Evita invece il pesce fritto.
  • Riduci la carne rossa. Mangia invece pesce e pollame come sostituto. Quando la mangi assicurati che sia magra e non esagerare con le porzioni. Evita anche salsicce, pancetta e altre carni con alto contenuto di grassi che possono essere consumate saltuariamente.

Puoi trovare l’articolo originale qui scritto dal dott. Giuseppe Scopelliti Biologo Nutrizionista. Per maggiori informazioni o richiesta di contatti scrivi a info@day.it

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I viaggi premio aziendali come benefit per i dipendenti

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Viaggi premio e welfare aziendale

I piani di welfare aziendale predisposti dalle imprese per favorire il work-life balance dei dipendenti, sono sempre più ricchi e strutturati e prevedono l’erogazione di servizi fruibili anche nel tempo libero. Come i viaggi premio aziendali. Scopri di più su questo tipo di benefit.

Oggi il benessere psicofisico dei dipendenti è tenuto in grande considerazione dalle aziende, che mettono a loro disposizione una serie di benefit di cui possano beneficiare non solo durante le ore di lavoro, per rendere più piacevole e meno stressante la vita lavorativa, ma anche nel tempo libero.

Un esempio di questi benefit sono i viaggi premio aziendali. Cosa sono, come funzionano e come sono inquadrati dal punto di vista fiscale? Ecco tutto quello che devi sapere.

 

Benefit aziendali: perché offrirli ai dipendenti?

I benefit aziendali sono beni e servizi che il datore di lavoro eroga ai propri dipendenti in aggiunta al normale compenso in denaro. Il loro scopo è quello di migliorare la qualità della vita dei collaboratori sia nell’ambito lavorativo, sia nella propria sfera personale.

Solitamente, i benefit sono ricompresi in dei piani di welfare aziendale che prevedono non solo il miglioramento dell’ambiente di lavoro, ma anche l’offerta di tutta una serie di beni e servizi fruibili dal dipendente e dal suo nucleo familiare.

Questo perché le aziende hanno capito che questa scelta comporta numerosi vantaggi, sia per quanto riguarda la soddisfazione dei collaboratori, sia dal punto di vista fiscale. Dei collaboratori più felici e sereni, infatti, hanno una motivazione ulteriore per lavorare meglio e aumentare così i propri livelli di produttività; inoltre, si sentono più legati e fedeli all’impresa per la quale lavorano.

Un buon piano di welfare aziendale, che comprenda dei benefit interessanti, come la possibilità di viaggiare, è anche un buon biglietto da visita per attrarre nuovi collaboratori di talento.

Tra i benefit aziendali più apprezzati dai lavoratori, dopo l’auto, il telefono aziendale e il sostegno alle spese per servizi scolastici e familiari, ci sono i viaggi premio.

 

Cosa sono i viaggi premio aziendali?

I viaggi premio aziendali sono un benefit che viene erogato dalle aziende ai propri collaboratori.

Solitamente, questo tipo di flexible benefit consiste in una somma in denaro o in un voucher che i dipendenti possono impiegare per acquistare servizi turistici presso le attività convenzionate, quali pernottamenti in hotel, voli e anche pacchetti viaggio completi.

All’estero i viaggi premio ai dipendenti sono ormai una realtà consolidata, tanto che la maggioranza delle imprese investe ogni anno una quota dei suoi guadagni per offrire ai dipendenti la possibilità di viaggiare. Negli ultimi anni, con l’aumento dell’attenzione rivolta dalle aziende al benessere dei propri collaboratori, anche in Italia è cresciuto il numero delle imprese che scelgono di offrire questo tipo di agevolazione ai dipendenti, inserendole nei loro piani di welfare.

Ancor di più dopo che la Legge di stabilità del 2016 li ha inseriti tra le agevolazioni che non concorrono alla formazione del reddito da lavoro dipendente, assoggettandoli a una tassazione agevolata anche per le imprese.

Le tipologie di viaggio e di servizi turistici offerte nell’ambito dell’applicazione delle politiche di welfare aziendale sono le più svariate e possono comprendere viaggi aziendali, pacchetti di viaggio completi, soggiorni premio o upgrade di servizi già prenotati, come voli aerei e pernottamenti in hotel. Tutto dipende dal budget che viene stanziato, o dall’ammontare del premio di risultato che il lavoratore decide di convertire in flexible benefits.

In alcuni casi è l’azienda a scegliere la destinazione del viaggio premio. Più spesso questa scelta viene lasciata al dipendente, che può decidere in base alle opzioni messe a sua disposizione.

 

Perché i viaggi premio piacciono ai lavoratori?

Ci sono tante ragioni che rendono i viaggi premio erogati dall’azienda un bonus appetibile. Sicuramente la possibilità di prendere una pausa dalla vita di tutti i giorni e rilassarsi è una delle maggiori.

Grazie al bonus elargito dall’azienda, poi, molte persone hanno la possibilità di visitare posti nuovi. Possibilità che spesso, in condizioni normali, non avrebbero. Specialmente se si tratta di persone giovani, che magari hanno una famiglia e figli piccoli.

Ricevere un viaggio premio dalla propria azienda, inoltre, fa sentire il lavoratore gratificato, perché dimostra l’interesse concreto dell’impresa per il suo benessere, e ne aumenta quindi il prestigio ai suoi occhi.

Tra le destinazioni più apprezzate dai lavoratori per i viaggi premio ci sono le località balneari esotiche e nostrane, le capitali europee, i soggiorni in villaggi turistici e residence o nelle città d’arte d’Italia e i fine settimana dedicati al relax e al benessere.

I piani di welfare ben strutturati, di solito, sono differenziati per fasce d’età e interessi dei dipendenti e prevedono di offrire ai lavoratori una scelta ampia e diversificata anche in fatto di viaggi premio, che tenga conto dell’età e della situazione familiare.

 

Differenza tra viaggi premio e viaggi incentive

Molto spesso si sente parlare dei viaggi incentive come riconoscimento offerto dalle aziende ai dipendenti o come regali per i clienti, e si sovrappone questa forma di benefit ai viaggi premio.

In realtà, tra viaggi premio e viaggi incentive ci sono parecchie differenze.

I viaggi premio, come abbiamo visto, vengono solitamente messi a disposizione dei collaboratori di un’azienda e dei loro nuclei familiari, mentre i clienti sono esclusi dalla loro fruizione. Possono essere compresi in un paniere di beni e servizi offerti alla totalità dei dipendenti, o comunque a un’intera categoria di lavoratori, nell’ambito di un piano di welfare aziendale.

Possono anche essere erogati in sostituzione del premio di produttività, purché l’impresa, nel suo insieme, abbia raggiunto determinati risultati che abbiano portato a un incremento di redditività, qualità ed efficienza.

I viaggi incentive, invece, sono una sorta di vacanza di gruppo che le aziende possono organizzare con i propri clienti o i propri collaboratori.

Al contrario dei viaggi premio, quindi, i viaggi incentive sono spesso riservati a un gruppo più o meno ristretto di dipendenti (e non anche alle loro famiglie), che visiteranno tutti insieme una destinazione scelta dall’azienda. Una vacanza collettiva, insomma.

Nel caso siano rivolti ai dipendenti, possono essere organizzati per la totalità di essi, anche se più spesso vengono offerti a un ristretto gruppo di collaboratori meritevoli, che sono riusciti a raggiungere gli obiettivi fissati dal regolamento aziendale. Hanno la duplice finalità di offrire un riconoscimento a coloro che sono riusciti a raggiungere il traguardo fissato, e di incentivare coloro che, invece, non ce l’hanno fatta.

 

Le soluzioni per le aziende che vogliono inserire i viaggi premio nei loro piani di welfare

Le imprese che vogliono offrire ai propri collaboratori dei viaggi premio che rispondano davvero ai loro gusti e alle loro esigenze, solitamente, hanno a disposizione due soluzioni.

La prima è quella di stipulare accordi diretti con vari soggetti che si occupano di turismo, come agenzie di viaggi, tour operator, strutture ricettive e compagnie aeree. I dipendenti potranno scegliere di usufruire di singoli servizi per ammortizzare le spese di viaggio oppure di pacchetti di viaggio completi, a seconda delle proprie esigenze e della somma a loro disposizione.

La seconda soluzione a cui possono ricorrere le aziende è quella di affidarsi a una società che si occupa di sviluppo e gestione di piani di welfare completi e diversificati, come quelli realizzati nell’ambito della piattaforma Day Welfare.

In questo caso, la piattaforma mette a disposizione del dipendente una selezione di servizi di trasporto, strutture ricettive, viaggi e pacchetti vacanze provenienti da partner affidabili.

Un esempio di questo servizio è la piattaforma ClickAndBuy di Day, che il lavoratore può scegliere per utilizzare i voucher erogati dall’azienda.

Qual è il trattamento fiscale dei viaggi premio per i dipendenti?

I viaggi premio rientrano in quella categoria di benefici complementari allo stipendio, definiti flexible benefits, che le aziende offrono ai propri collaboratori nell’applicazione delle politiche di welfare aziendale; pertanto, godono di tassazione agevolata.

La normativa di riferimento per determinare il trattamento fiscale dei viaggi premio è costituita dal TUIR.

Secondo l’articolo 51 del Testo Unico sulle Imposte sui Redditi, i flexible benefits sono esclusi dall’imposizione retributiva e contributiva per il loro intero valore nel caso in cui la loro erogazione sia prevista dalle contrattazioni collettive delle aziende del settore privato o qualora il lavoratore dipendente decida di usufruirne in sostituzione del proprio premio di risultato.

La detassazione dei flexible benefits si applica non solo ai redditi da lavoro dipendente, ma anche ai redditi dell’impresa che li ha erogati, se essi rientrano nella casistica prevista dalla legge.

Nel caso specifico dei viaggi premio, questi ultimi rientrano nelle finalità di ricreazione previste dall’articolo 100 del TUIR e sono quindi deducibili per una quota massima del 5 per mille dell’importo totale investito dall’impresa per finanziarli.

 

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Dematerializzazione dei buoni pasto: cos’è, come funziona e quali sono i benefici

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La dematerializzazione dei buoni pasto

I buoni pasto diventano smart, con il servizio di dematerializzazione offerto dalle società di distribuzione alle attività commerciali affiliate. Ecco quali sono i vantaggi della dematerializzazione dei buoni pasto.

 

Con i servizi di dematerializzazione dei buoni pasto dedicati a ristoranti ed esercenti della piccola e grande distribuzione, accettarli e ottenere il rimborso diventa facile e veloce. Come un click del mouse! Scopri tutte le informazioni sulla dematerializzazione dei buoni pasto.

Cosa significa “dematerializzazione dei buoni pasto”?

Dematerializzare significa, letteralmente, sostituire dei documenti cartacei con documenti digitali, con la finalità di renderne più agevole la circolazione e l’utilizzo. I documenti dematerializzati hanno lo stesso valore legale di quelli cartacei, consentono di diminuire gli sprechi di carta e di tempo e di rendere più efficienti le procedure di invio degli stessi.

Per essere considerati dematerializzati, i documenti cartacei devono essere distrutti dopo il processo di dematerializzazione.

Il termine “dematerializzazione dei buoni pasto” viene usato per indicare quel processo che permette di dematerializzare i buoni pasto cartacei.

Infatti, mentre i buoni pasto elettronici sono già dematerializzati e per validarli basta che gli esercenti siano in possesso un POS Day, simile a quello per il pagamento delle carte di credito, il procedimento tradizionale per la validazione e il rimborso dei buoni pasto cartacei risulta più lungo e laborioso. Con gli strumenti per la dematerializzazione dei buoni pasto, invece, basta leggere il codice a barre di cui sono muniti per validarli in tempo reale e inviarli immediatamente alla società emettitrice.

Proprio questa semplicità ha fatto sì che, negli ultimi anni, sempre più esercenti convenzionati abbiano deciso di dotarsi dei sistemi di dematerializzazione dei buoni pasto, perché questa operazione comporta numerosi vantaggi per chi accetta i buoni pasto cartacei in pagamento.

 

Benefici della dematerializzazione

Oggi sono moltissime le aziende che prevedono l’erogazione dei buoni pasto ai dipendenti, in sostituzione del servizio di mensa aziendale.

Questo tipo di ticket è spendibile in moltissimi esercizi, come ristoranti, negozi di alimentari e supermercati. Gli esercenti che accettano i buoni pasto in pagamento, specialmente se ne ricevono tanti, non possono che trarre beneficio da un sistema di validazione dei ticket più veloce e snello.

La dematerializzazione dei buoni pasto cartacei comporta numerosi benefici per gli esercenti affiliati che li accettano in pagamento.

Ecco quali sono i principali vantaggi per chi decide di passare a questa modalità di validazione dei ticket:

  • si può controllare in tempo reale la validità dei buoni pasto cartacei, annullando quasi del tutto il rischio di accettare ticket già usati, contraffatti oppure scaduti;
  • non è più necessario inviare i buoni originali alla società emettitrice, perché le codeline sono trasmesse online, in tutta sicurezza dalla piattaforma telematica Dayclick ;
  • non serve più far firmare i buoni pasto ai titolari, né timbrarli;
  • i costi di spedizione e i rischi legati al trasporto, nonché quelli di custodire i buoni in cassa, vengono azzerati;
  • non si devono più trascorrere ore e ore ad eseguire complicati conteggi, suscettibili di errori, per sapere a quanto ammonta il rimborso dei buoni pasto accettati;
  • si ha subito la certezza che i buoni pasto inviati in maniera telematica saranno quelli effettivamente rimborsati, senza che ci siano più discrepanze tra il numero di buoni conteggiati dall’esercente e quelli ricevuti dagli emettitori;
  • grazie alla scansione digitale dei buoni pasto, la fattura elettronica viene emessa immediatamente;
  • sia che l’esercente decida di utilizzare lo scanner, sia che decida di servirsi dell’App, la fattura viene saldata entro 8 giorni dall’emissione.

 

La dematerializzazione dei buoni pasto è obbligatoria?

Iniziamo subito col dire che la dematerializzazione dei buoni pasto non è obbligatoria.

Tuttavia, con l’introduzione dell’obbligo della fatturazione elettronica, alcune società che si occupano di emettere i buoni pasto hanno deciso di obbligare gli esercenti affiliati ai loro programmi a dematerializzare i buoni, per semplificare il processo di emissione della fattura.

Day continua a validare i buoni pasto cartacei anche in maniera tradizionale e offre agli esercenti affiliati al suo programma la possibilità di continuare a conteggiare manualmente e spedire i buoni pasto cartacei grazie al servizio Pagosubito. Con Pagosubito, l’esercente ha la possibilità di inviare i buoni pasto accettati ad uno dei punti di raccolta (ce ne sono in tutta Italia) attraverso una modalità di spedizione sicura e tracciabile. Anche in questo caso, il pagamento della fattura è garantito in soli 8 giorni.

Inoltre, Day mette a disposizione dei suoi affiliati la possibilità di calcolare direttamente dal sito il valore dei buoni pasto ritirati, di verificare la valildità delle codeline e di richiedere il codice Parter Day.

 

Come funziona praticamente la dematerializzazione?

Esistono due diversi sistemi per dematerializzare i buoni pasto cartacei che i lavoratori dipendenti utilizzano durante la pausa pranzo per pagare i pasti:

Grazie alla tecnologia che Day mette a disposizione degli esercizi affiliati, la gestione dei buoni cartacei diventa facile e veloce; in più si ottiene subito la fattura pronta per il pagamento e non si devono più inviare gli originali agli emettitori.

 

Dematerializzazione con scanner collegato al pc o al POS

Vediamo come funziona praticamente il sistema di dematerializzazione dei buoni pasto che prevede l’uso dello scanner collegato al POS o al pc.

Per prima cosa, il negoziante deve munirsi di un lettore di codici fornito da Day, che è lo strumento che consente di dematerializzare i buoni. Il lettore deve poi essere collegato al POS Day.

Quando arriva un cliente che decide di pagare il proprio pasto o gli acquisti effettuati con i buoni pasto cartacei, l’affiliato, servendosi dello scanner, procede alla lettura del codice a barre stampato sul buono.

Immediatamente, il POS trasmette alla società emettitrice il codice del buono, e ne verifica in tempo reale la validità. Se il ticket non è scaduto e non è mai stato utilizzato prima, il POS lo convalida.

Se il cliente è in possesso di più buoni cartacei, l’esercente deve ripetere l’operazione con tutti i ticket (ricordiamo che è possibile accettarne un massimo di 8). Quando tutti i buoni cartacei saranno stati validati, è sufficiente indicare il numero progressivo di fatturazione e la data per ottenere immediatamente la fattura di rimborso, che viene inviata a Day in tempo reale, già pronta per il pagamento.

Gli esercenti che non sono in possesso del POS, potranno collegare lo scanner al pc. In questo caso, per poter procedere alla validazione dei buoni pasto e all’emissione della fattura, l’affiliato deve prima registrarsi su affiliatiday.it e accedere all’area riservata.

Nel momento in cui arriva un cliente che desidera pagare con dei buoni pasto cartacei, l’esercente accede all’area del sito dedicata alla validazione dei ticket e scannerizza il codice presente sul buono.

Subito, sullo schermo appariranno tutti i dati relativi al buono pasto scannerizzato, compreso se sia o meno valido. Nel caso si commetta un errore, è possibile anche stornare i buoni già scannerizzati.

Il negoziante procede alla validazione di tutti i buoni pasto, poi accede alla sezione del sito dedicata alla fatturazione, inserisce numero e data della fattura e procede all’emissione del documento.

Una volta emessa la fattura, l’affiliato ha la responsabilità di distruggere i buoni pasto già dematerializzati.

 

Dematerializzazione con App Dayclick

Gli utilizzatori del servizio di dematerializzazione dei buoni pasto cartacei possono anche servirsi dell’App Dayclick per smartphone, una soluzione alternativa allo scanner per computer e POS, che è possibile impiegare per scannerizzare i ticket e visualizzare e gestire le transazioni e le fatture già emesse.

Usare l’App Dayclick è estremamente semplice: servendosi della fotocamera del cellulare, l’affiliato può scannerizzare i codici a barre presenti sui buoni spesi dai clienti.

Come con il POS e il pc, potrà verificare la validità dei buoni ed emettere la fattura in tempo reale.

I partner Day che usufruiscono del servizio di dematerializzazione dei buoni pasto possono anche decidere di spenderli sul sito daymarket.it e fare la spesa online per il proprio esercizio commerciale.

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Come attivare un piano di welfare aziendale

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Piani di welfare aziendale

Il piano di welfare aziendale è uno degli strumenti preferiti dalle aziende che desiderano offrire delle agevolazioni ai propri collaboratori, per migliorare il clima aziendale. Scopri come funziona.

 

Le aziende hanno sempre più a cuore il benessere dei propri dipendenti e mettono in campo misure sempre più moderne e agili per garantirlo. Grazie alla creazione di piani di welfare aziendale, le imprese possono offrire ai lavoratori tutta una serie di benefit che migliorino la qualità della vita sia nella sfera lavorativa, sia nella sfera personale. In questo articolo ti spiegheremo cos’è, come funziona e come si attiva un piano di welfare aziendale.

 

Che cos’è un piano di welfare aziendale?

Negli ultimi anni si sente parlare sempre più spesso di welfare aziendale. Cosa si intende, di preciso, con questo termine?

Il termine welfare aziendale viene utilizzato per indicare quell’insieme di politiche aziendali che si occupano di migliorare il benessere dei dipendenti, rendendo più agevole la conciliazione vita-lavoro, tramite l’erogazione di servizi di sostegno al reddito. Tali servizi possono essere complementari o alternativi alla retribuzione ordinaria.

Sono sempre di più gli studi che indicano come la soddisfazione in ambito lavorativo renda i dipendenti più soddisfatti e li spinga ad aumentare la produttività, creando quindi un valore aggiunto per l’azienda.

Perché il welfare aziendale diventi una vera e propria opportunità di crescita, per un’impresa, e comporti anche dei vantaggi fiscali, deve essere pianificato in ogni minimo dettaglio: dalla scelta delle agevolazioni da offrire ai dipendenti fino alla loro erogazione.

È a questo punto che entra in gioco il piano di welfare aziendale: un vero e proprio programma che si occupa di tutti gli aspetti che riguardano le agevolazioni offerte ai dipendenti, che le aziende possono scegliere di attuare da sé oppure dare in gestione a delle società che si occupano di tutti gli aspetti dei piani di welfare aziendale.

Nessun piano di welfare aziendale può, e deve, essere uguale a un altro. Ogni azienda è inserita in un preciso contesto territoriale, ha una sua cultura d’impresa, valori precisi e un suo particolare approccio alle risorse umane, nonché dipendenti con bisogni ben definiti.

Un buon piano di welfare, perciò, non può non tenere conto di tutti questi fattori, per funzionare davvero.

Tipologie di piani di welfare aziendale

Quando si parla di piani di welfare si intende una categoria molto ampia di interventi, che al suo interno comprende strategie molto diverse tra loro anche nella forma, non solo nei contenuti.

Per quanto riguarda la forma, in particolare, devi sapere che esistono 3 diverse tipologie di piani di welfare aziendale, che si configurano anche in un diverso trattamento fiscale:

  • welfare volontario;
  • welfare contrattato;
  • welfare di produttività.

I piani di welfare volontario vengono attuati dall’azienda con un’azione unilaterale. In questo caso è il datore di lavoro a decidere gli importi da destinare alla loro attuazione, i destinatari e il tipo di benefit da erogare. L’agevolazione fiscale, per questo tipo di piani, è pari al 5 per mille del valore dei servizi erogati.

I piani di welfare contrattato sono quelli che derivano da un’imposizione del CCNL o da contrattazioni di secondo livello intraprese con le sigle sindacali. Solitamente, in questi casi, l’impresa decide insieme ai sindacati quali sono i destinatari e il tipo di prestazioni da inserire nel piano di welfare.

C’è poi il welfare di produttività, che è uno dei modelli più apprezzati dalle aziende italiane. Esso consiste nell’offrire al dipendente la possibilità di convertire il proprio premio di produttività in prestazioni di welfare aziendale, purché nel corso dell’anno ci sia stato un incremento misurabile della produttività dell’azienda. Anche questo tipo di piano di welfare può essere attuato solo in presenza di un obbligo derivato dal CCNL di riferimento o dagli accordi stipulati in sede di contrattazione di secondo livello aziendale o territoriale.

 

Come attivare un piano di welfare aziendale?

Per attivare un piano di welfare aziendale non basta solamente decidere, dall’oggi al domani, di erogare dei benefit ai propri dipendenti.

Se si ha in mente di avviare una politica volta al miglioramento del work-life balance dei propri collaboratori, si deve mettere in atto una strategia ben definita, che passa attraverso diverse fasi.

1. Analisi della situazione contrattuale dell’azienda e delle relazioni sindacali

Quando un’impresa decide di attuare un piano di welfare aziendale, la prima cosa che deve fare è analizzare la sua situazione contrattuale, per capire se essa preveda già l’erogazione di alcune misure di welfare ai dipendenti.

Molti CCNL di categoria, infatti, obbligano le aziende che li applicano ad offrire ai dipendenti determinate misure di welfare.

Può anche accadere che siano già in essere contrattazioni di secondo livello o accordi sindacali che comprendano alcune misure di welfare.

Nel caso in cui un’impresa abbia già stabilito l’erogazione di alcune misure di welfare, può decidere di perfezionarle o ampliare l’offerta o la platea dei beneficiari.

2. Analisi della popolazione aziendale e dei bisogni dei dipendenti

Un piano di welfare davvero efficace non può prescindere da un’attenta analisi della popolazione aziendale e dei suoi bisogni.

Per questo, è utile avviare dei sondaggi per capire quanto i collaboratori siano soddisfatti delle misure già erogate. Un sondaggio può essere utile per capire quali misure di welfare potrebbero risultare più gradite e necessarie ai dipendenti.

Oltre ad analizzare la soddisfazione dei dipendenti e le loro esigenze, per strutturare un piano di welfare è utile anche censire i lavoratori, dividendoli per fasce di età, sesso ed interessi.

3. Creazione ed attuazione del piano di welfare e misurazione dei risultati

L’ultimo passo consiste nella creazione del piano di welfare aziendale vero e proprio e nella sua attuazione.

Dopo aver analizzato a fondo la propria situazione contrattuale e aver svolto dei sondaggi per comprendere meglio le necessità dei propri dipendenti, l’azienda decide:

  • l’importo del budget che intende investire nel piano di welfare,
  • come comporre il pacchetto di beni e servizi,
  • le modalità di erogazione degli stessi.

L’impresa può svolgere autonomamente questi passaggi, affidando l’incarico al reparto che si occupa delle risorse umane, oppure affidarsi a chi si occupa della creazione e della gestione di piani di welfare aziendale personalizzati. Come Day, che con la piattaforma Day Welfare aiuta le aziende a creare e gestire i piani di welfare aziendale.

Una volta attuato, il piano di welfare non può essere abbandonato a sé stesso. È importante che l’impresa ne monitori periodicamente l’andamento, per verificarne l’efficacia.

 

Quali beni e servizi è possibile inserire in un piano di welfare aziendale?

Un piano di welfare aziendale è uno strumento molto flessibile, che permette alle imprese di strutturarlo nella maniera che preferiscono, inserendo al suo interno un’ampia gamma di beni e servizi.

Ecco alcuni tra i benefit più comuni che un’impresa può inserire nel proprio piano di welfare:

  • introduzione di forme di lavoro che agevolino la conciliazione vita-lavoro, come la banca ore, l’offerta di una maggiore flessibilità oraria e la possibilità di ottenere un contratto part-time, lo smart working e il job-sharing;
  • erogazione di servizi di risparmio, come il rimborso delle spese per l’acquisto dei testi scolastici per i figli, i buoni acquisto, il servizio di trasporto aziendale, il rimborso delle spese mediche, l’offerta di alloggi a prezzi agevolati, le convenzioni con cinema, teatri e palestre, i viaggi premio aziendali, la stipula un’assicurazione sanitaria o la possibilità di formare una pensione integrativa presso fondi di previdenza complementare;
  • erogazione di servizi salva-tempo come la mensa aziendale, il car pooling, il servizio lavanderia;
  • erogazione di servizi di cura della persona rivolti alle famiglie dei dipendenti, come l’asilo nido aziendale, il rimborso delle spese sostenute per le rette di scuole dell’infanzia, doposcuola invernali, centri estivi, l’assistenza agli anziani o ai parenti non autosufficienti;
  • erogazione di servizi per il benessere dei dipendenti, come i programmi di medicina preventiva, lo sportello medico, la palestra interna e la zona relax, i corsi di formazione e le borse di specializzazione.

 

Chi ha diritto a usufruire del welfare aziendale?

Secondo quanto stabilito dalla legge, le aziende possono strutturare i propri piani di welfare includendo al loro interno servizi destinati alla fruizione sia da parte dei lavoratori dipendenti, sia da parte dei loro familiari.

La normativa di riferimento (art.12 del TUIR) stabilisce che i familiari ammessi al godimento dei servizi di welfare aziendale sono il coniuge non legalmente separato, i figli (compresi i figli naturali riconosciuti, i figli adottati e in affidamento), i genitori, i suoceri, i generi e le nuore, i fratelli e le sorelle.

 

Quanto costa gestire un piano di welfare aziendale?

Il costo della gestione di un piano di welfare aziendale è variabile e dipende da diversi fattori:

  • il numero di dipendenti a cui si intendono erogare i benefit previsti dal piano;
  • il costo dei benefit erogati;
  • le tasse.

Poniamo il caso che un’azienda di medie dimensioni decida di erogare a tutti i propri dipendenti un credito welfare di 200 euro annuali, che consenta loro di accedere a un paniere di beni e servizi che comprende il rimborso delle spese per la famiglia o il tempo libero (acquisto di testi scolastici, rette per asili, doposcuola e centri estivi, spese per assistenza agli anziani, abbonamento in palestra e così via).

Presumendo che l’azienda abbia un numero di dipendenti pari a 250 unità, e che le misure di welfare siano ricomprese in una contrattazione di primo o secondo livello o in un accordo sindacale, il costo del piano di welfare ammonterebbe a 50.000 euro. Questo perché, tra i vantaggi dei piani di welfare, c’è la detassazione e l’intero importo investito in welfare sarebbe escluso dalla tassazione, secondo quanto stabilito dall’art.51 del TUIR.

Nel caso in cui l’attuazione del piano di welfare fosse frutto di un’iniziativa unilaterale dell’azienda, invece, il costo del piano di welfare aumenterebbe, poiché sarebbe deducibile dalle tasse solo il 5 per mille dell’intero importo.

Prendiamo invece il caso di un’azienda con 200 dipendenti che decida di erogare un premio di risultato di 1.000 euro ai propri collaboratori nel caso in cui vengano raggiunti determinati obiettivi di produttività, innovazione o redditività, offrendo loro la possibilità di convertire il premio in servizi di welfare aziendale. In questo caso, a seconda della modalità di erogazione del premio, cambierebbe anche il costo sostenuto dall’azienda.

Se, infatti, l’importo venisse erogato in denaro, l’azienda spenderebbe 1.323 euro per ogni dipendente, mentre il lavoratore riceverebbe 880 euro in busta paga (fino a 3.000 euro i premi di risultato a tassazione agevolata). Se l’azienda predisponesse un piano di welfare aziendale per l’erogazione del premio di risultato e tutti i dipendenti decidessero di convertire il proprio premio nei servizi compresi al suo interno, l’azienda spenderebbe 1.000 euro per erogare il premio di risultato e il dipendente riceverebbe beni o servizi per il suo intero valore.

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